LA NOSTRA FESTA DELLE CAPANNE E' VICINA
DAL PENSIERO GRECO NASCE IL DIRITTO ROMANO , IL DIRITTO ROMANO E' IL PIU' PROSSIMO ALLLA LEGGE EBRAICA , ECCO PERCHE' ROMA E GLI ITALIANI SONO LA BANDIERA DEL MONDO .
Si scrisse dunque in nome del re Assuero, si sigillarono le lettere con l'anello reale e si mandarono per mezzo di corrieri che cavalcavano cavalli veloci, usati per il servizio del re, nati da stalloni reali. 11 Con queste lettere il re autorizzava i Giudei, in qualunque città si trovassero, a radunarsi e a difendere la loro vita, a distruggere, uccidere, sterminare, senza escludere i bambini e le donne, tutta la gente armata, di qualunque popolo e di qualunque provincia fosse, che li assalisse, e a saccheggiare i suoi beni; 12 e ciò, in un medesimo giorno, in tutte le provincie del re Assuero: il tredici del dodicesimo mese, cioè il mese di Adar. 13 Queste lettere contenevano una copia del decreto che doveva essere bandito in ogni provincia e pubblicato fra tutti i popoli, perché i Giudei si tenessero pronti per quel giorno a vendicarsi dei loro nemici. 14 Così i corrieri che cavalcavano cavalli veloci, usati per il servizio del re, partirono immediatamente, in tutta fretta, per ordine del re; e il decreto fu promulgato nella residenza reale di Susa.
DAL LIBRO DI ESTER Cipriano a Cornelio fratello nell'episcopato.
Siamo a conoscenza, fratello carissimo, della tua fede, della tua
fortezza e della tua aperta testimonianza. Tutto ciò è di grande onore
per te e a me arreca tanta gioia da farmi considerare partecipe e socio
dei tuoi meriti e delle tue imprese.
Siccome infatti una è la Chiesa, uno e inseparabile l'amore, unica e
inscindibile l'armonia dei cuori, quale sacerdote, nel celebrare le lodi
di un altro sacerdote, non se ne rallegrerebbe come di sua propria
gloria?
E quale fratello non si sentirebbe felice della gioia dei propri fratelli?
Certo non si può immaginare l'esultanza e la grande letizia che vi è
stata qui da noi quando abbiamo saputo cose tanto belle e conosciuto le
prove di fortezza da voi date. Tu sei stato di guida ai fratelli nella
confessione della fede, e la stessa confessione della guida si è
fortificata ancora più con la confessione dei fratelli. Così, mentre hai
preceduto gli altri nella via della gloria, hai guadagnato molti
compagni alla stessa gloria, e mentre ti sei mostrato pronto a
confessare per primo e per tutti, hai persuaso tutto il popolo a
confessare la stessa fede. In questo modo ci è impossibile stabilire che
cosa dobbiamo elogiare di più in voi, se la tua fede pronta e
incrollabile, o la inseparabile carità dei fratelli. Si è manifestato in
tutto il suo splendore il coraggio del vescovo a guida dei suo popolo,
ed è apparsa luminosa e grande la fedeltà del popolo in piena
solidarietà con il suo vescovo. In voi tutta la chiesa di Roma ha dato
la sua magnifica testimonianza, tutta unita in un solo spirito e in una
sola voce.
È brillata così, fratello carissimo, la fede che l'Apostolo constatava
ed elogiava nella vostra comunità. Già allora egli prevedeva e celebrava
quasi profeticamente il vostro coraggio e la vostra indomabile
fortezza. Già allora riconosceva i meriti di cui vi sareste resi
gloriosi. Esaltava le imprese dei padri, prevedendo quelle dei figli.
Con la vostra piena concordia, con la vostra fortezza, avete dato a
tutti i cristiani luminoso esempio di unione e di costanza.
Fratello carissimo, il Signore nella sua provvidenza ci preammonisce che
è imminente l'ora della prova. Dio nella sua bontà e nella sua premura
per la nostra salvezza ci dà i suoi benefici suggerimenti in vista del
nostro vicino combattimento. Ebbene in nome di quella carità, che ci
lega vicendevolmente, aiutiamoci, perseverando con tutto il popolo nei
digiuni, nelle veglie e nella preghiera.
Queste sono per noi quelle armi celesti che ci fanno stare saldi, forti e
perseveranti. Queste sono le armi spirituali e gli strali divini che ci
proteggono.
Ricordiamoci scambievolmente in concordia e fraternità spirituale.
Preghiamo sempre e in ogni luogo gli uni per gli altri, e cerchiamo di
alleviare le nostre sofferenze con la mutua carità.
Dalle «Omelie sui vangeli» di san Gregorio Magno, papa (Om. 17, 3. 14; PL 76, 1139-1140. 1146)
Senso di responsabilità nel ministero
Sentiamo cosa dice il Signore nell'inviare i predicatori: «La messe è
molta, ma gli operai sono pochi! Pregate dunque il padrone della messe,
perché mandi operai per la sua messe!» (Mt 9, 37-38). Per una grande
messe gli operai sono pochi; non possiamo parlare di questa scarsità
senza profonda tristezza, poiché vi sono persone che ascolterebbero la
buona parola, ma mancano i predicatori. Ecco, il mondo è pieno di
sacerdoti, e tuttavia si trova di rado chi lavora nella messe del
Signore; ci siamo assunti l'ufficio sacerdotale, ma non compiamo le
opere che l'ufficio comporta. Riflettete attentamente, fratelli
carissimi, su quello che è scritto: «Pregate il padrone della messe,
perché mandi operai per la sua messe». Pregate voi per noi, affinché
siamo in grado di operare per voi come si conviene, perché la lingua non
resti inceppata nell'esortare, e il nostro silenzio non condanni presso
il giusto giudice noi, che abbiamo assunto l'ufficio di predicatori.
Spesso infatti la lingua dei predicatori perde la sua scioltezza a causa
delle loro colpe; spesso invece viene tolta la possibilità della
predicazione a coloro che sono a capo per colpa dei fedeli. La lingua
dei predicatori viene impedita dalla loro nequizia, secondo quanto dice
il salmista: «All'empio Dio dice: Perché vai ripetendo i miei decreti?»
(Sal 49, 16). Altre volte la voce dei predicatori è ostacolata
colpevolmente dai fedeli, come il Signore dice a Ezechiele: «Ti farò
aderire la lingua al palato e resterai muto. Così non sarai più per loro
uno che li rimprovera, perché sono una genìa di ribelli» (Ez 3, 26).
Come a dire: Ti viene tolta la parola della predicazione, perché il
popolo non è degno di ascoltare l'esortazione della verità, quel popolo
che nel suo agire mi è ribelle. Non è sempre facile però sapere per
colpa di chi al predicatore venga tolta la parola. Ma si sa con tutta
certezza che il silenzio del pastore nuoce talvolta a lui stesso, e
sempre ai fedeli a lui soggetti. Vi sono altre cose, fratelli carissimi,
che mi rattristano profondamente sul modo di vivere dei pastori. E
perché non sembri offensivo per qualcuno quello che sto per dire, accuso
nel medesimo tempo anche me, quantunque mi trovi a questo posto non
certo per mia libera scelta, ma piuttosto costretto dai tempi calamitosi
in cui viviamo. Ci siamo ingolfati in affari terreni, e altro è ciò che
abbiamo assunto con l'ufficio sacerdotale, altro ciò che mostriamo con i
fatti. Noi abbandoniamo il ministero della predicazione e siamo
chiamati vescovi, ma forse piuttosto a nostra condanna, dato che
possediamo il titolo onorifico e non le qualità. Coloro che ci sono
stati affidati abbandonano Dio e noi stiamo zitti. Giacciono nei loro
peccati e noi non tendiamo loro la mano per correggerli. Ma come sarà
possibile che noi emendiamo la vita degli altri, se trascuriamo la
nostra? Tutti rivolti alle faccende terrene, diventiamo tanto più
insensibili interiormente, quanto più sembriamo attenti agli affari
esteriori. Ben per questo la santa Chiesa dice delle sue membra malate:
«Mi hanno messo a guardiana delle vigne; la mia vigna, la mia, non l'ho
custodita» (Ct 1, 6). Posti a custodi delle vigne, non custodiamo
affatto la vigna, perché, implicati in azioni estranee, trascuriamo il
ministero che dovremmo compiere.