sabato 4 settembre 2021


BENEDETTO XVI NEMICO DEL RELATIVISMO E DEL DEMOCRATICISMO.


 


UDIENZA

AI MEMBRI DELLA
COMMISSIONE TEOLOGICA INTERNAZIONALE
05.10.2007







DISCORSO DEL SANTO PADRE


Signor Cardinale,


venerati Fratelli nell’Episcopato,


illustri Professori e cari Collaboratori,



è con particolare piacere che vi accolgo al termine dei lavori della vostra annuale Sessione Plenaria. Desidero innanzitutto esprimere un sentito ringraziamento per le parole di omaggio che, a nome di tutti Ella, Signor Cardinale, in qualità di Presidente della Commissione Teologica Internazionale, ha voluto rivolgermi nel suo indirizzo di saluto. I lavori di questo settimo "quinquennio" della Commissione Teologica Internazionale, come Lei Signor Cardinale ha ricordato, hanno dato già un frutto concreto con la pubblicazione del documento "La speranza della salvezza per i bambini che muoiono senza battesimo". In esso si tratta questo argomento nel contesto della volontà salvifica universale di Dio, dell'universalità della mediazione unica di Cristo, del primato della grazia divina e della sacramentalità della Chiesa. Confido che tale documento possa costituire un punto di riferimento utile per i Pastori della Chiesa e per i teologi, ed anche un aiuto e una sorgente di consolazione per i fedeli che hanno sofferto nelle loro famiglie la morte inattesa di un bambino prima che ricevesse il lavacro della rigenerazione. Le vostre riflessioni potranno essere anche occasione di ulteriori approfondimenti e ricerche sull'argomento. Occorre infatti penetrare sempre più a fondo nella comprensione delle diverse manifestazioni dell'amore di Dio, che ci è stato rivelato in Cristo, verso tutti gli uomini, specialmente verso i più piccoli e i più poveri.



Mi congratulo con voi per i risultati già raggiunti e allo stesso tempo vi incoraggio a proseguire con impegno lo studio degli altri temi proposti per questo quinquennio e sui quali avete già lavorato negli anni passati e in questa Sessione Plenaria. Essi sono, come Lei Signor Cardinale ha ricordato, i fondamenti della legge morale naturale e i principi della teologia e del suo metodo. In occasione dell’Udienza del 1° dicembre 2005, presentai alcune linee fondamentali del lavoro che il teologo deve svolgere in comunione con la voce viva della Chiesa sotto la guida del Magistero. Vorrei soffermarmi in special modo ora sul tema della legge morale naturale. Come probabilmente è noto, su invito della Congregazione per la Dottrina della Fede si sono tenuti o si stanno organizzando, da parte di diversi centri universitari e associazioni, simposi o giornate di studio al fine di individuare linee e convergenze utili per un approfondimento costruttivo ed efficace della dottrina sulla legge morale naturale. Tale invito ha trovato finora accoglienza positiva e notevole eco. E’ quindi con grande interesse che si attende il contributo della Commissione Teologica Internazionale, mirato soprattutto a giustificare e illustrare i fondamenti di un'etica universale, appartenente al grande patrimonio della sapienza umana, che in qualche modo costituisce una partecipazione della creatura razionale alla legge eterna di Dio. Non si tratta quindi di un tema di tipo esclusivamente o prevalentemente confessionale, anche se la dottrina sulla legge morale naturale viene illuminata e sviluppata in pienezza alla luce della Rivelazione cristiana e del compimento dell'uomo nel mistero di Cristo.



Il Catechismo della Chiesa Cattolica riassume bene il contenuto centrale della dottrina sulla legge naturale, rilevando che essa "indica le norme prime ed essenziali che regolano la vita morale. Ha come perno l'aspirazione e la sottomissione a Dio, fonte e giudice di ogni bene, e altresì il senso dell'altro come uguale a se stesso. Nei suoi precetti principali essa è esposta nel Decalogo. Questa legge è chiamata naturale non in rapporto alla natura degli esseri irrazionali, ma perché la ragione che la promulga è propria della natura umana" (n. 1955). Con questa dottrina si raggiungono due finalità essenziali: da una parte, si comprende che il contenuto etico della fede cristiana non costituisce un'imposizione dettata dall’esterno alla coscienza dell'uomo, ma una norma che ha il suo fondamento nella stessa natura umana; dall'altra, partendo dalla legge naturale di per sé accessibile ad ogni creatura razionale, si pone con essa la base per entrare in dialogo con tutti gli uomini di buona volontà e, più in generale, con la società civile e secolare.



Ma proprio a motivo dell'influsso di fattori di ordine culturale e ideologico, la società civile e secolare oggi si trova in una situazione di smarrimento e di confusione: si è perduta l'evidenza originaria dei fondamenti dell'essere umano e del suo agire etico e la dottrina della legge morale naturale si scontra con altre concezioni che ne sono la diretta negazione. Tutto ciò ha enormi e gravi conseguenze nell'ordine civile e sociale. Presso non pochi pensatori sembra oggi dominare una concezione positivista del diritto. Secondo costoro, l'umanità, o la società, o di fatto la maggioranza dei cittadini, diventa la fonte ultima della legge civile. Il problema che si pone non è quindi la ricerca del bene, ma quella del potere, o piuttosto dell'equilibrio dei poteri. Alla radice di questa tendenza vi è il relativismo etico, in cui alcuni vedono addirittura una delle condizioni principali della democrazia, perché il relativismo garantirebbe la tolleranza e il rispetto reciproco delle persone. Ma se fosse così, la maggioranza di un momento diventerebbe l’ultima fonte del diritto. La storia dimostra con grande chiarezza che le maggioranze possono sbagliare. La vera razionalità non è garantita dal consenso di un gran numero, ma solo dalla trasparenza della ragione umana alla Ragione creatrice e dall’ascolto comune di questa Fonte della nostra razionalità.



Quando sono in gioco le esigenze fondamentali della dignità della persona umana, della sua vita, dell'istituzione familiare, dell'equità dell'ordinamento sociale, cioè i diritti fondamentali dell'uomo, nessuna legge fatta dagli uomini può sovvertire la norma scritta dal Creatore nel cuore dell'uomo, senza che la società stessa venga drammaticamente colpita in ciò che costituisce la sua base irrinunciabile. La legge naturale diventa così la vera garanzia offerta ad ognuno per vivere libero e rispettato nella sua dignità, e difeso da ogni manipolazione ideologica e da ogni arbitrio e sopruso del più forte. Nessuno può sottrarsi a questo richiamo. Se per un tragico oscuramento della coscienza collettiva, lo scetticismo e il relativismo etico giungessero a cancellare i principi fondamentali della legge morale naturale, lo stesso ordinamento democratico sarebbe ferito radicalmente nelle sue fondamenta. Contro questo oscuramento, che è crisi della civiltà umana, prima ancora che cristiana, occorre mobilitare tutte le coscienze degli uomini di buona volontà, laici o anche appartenenti a religioni diverse dal Cristianesimo, perché insieme e in modo fattivo si impegnino a creare, nella cultura e nella società civile e politica, le condizioni necessarie per una piena consapevolezza del valore inalienabile della legge morale naturale. Dal rispetto di essa infatti dipende l’avanzamento dei singoli e della società sulla strada dell’autentico progresso in conformità con la retta ragione, che è partecipazione alla Ragione eterna di Dio.



Carissimi, con riconoscenza esprimo a voi tutti apprezzamento per la dedizione che vi contraddistingue e stima per il lavoro svolto e che state svolgendo. Nel porgervi i miei auguri per i vostri futuri impegni, vi imparto con affetto la mia Benedizione.

[01382-01.02] [Testo originale: Italiano]

(C) Vatican.va http://212.77.1.245/news_services/bulletin/new

Dagli «Atti proconsolari del martirio di san Cipriano Vescovo» (Atti, 3-6; CSEL 3,112-114)
In una cosa così giusta non c'è da riflettere

Al mattino del 14 settembre molta folla si era radunata a Sesti secondo quanto aveva ordinato il proconsole Galerio Massimo. E così lo stesso proconsole Galerio Massimo ordinò che gli fosse condotto Cipriano all'udienza che teneva nel medesimo giorno nell'atrio Sauciolo. Quando gli fu davanti, il proconsole Galerio Massimo disse al vescovo Cipriano: «Tu sei Tascio Cipriano?». Il vescovo Cipriano rispose: «Sì, sono io».
Il proconsole Galerio Massimo disse: «Sei tu che ti sei presentato come capo di una setta sacrilega?». Il vescovo Cipriano rispose: «Sono io».
Galerio Massimo disse: «I santissimi imperatori ti ordinano di sacrificare». Il vescovo Cipriano disse: «Non lo faccio».
Il proconsole Galerio Massimo disse: «Rifletti bene». Il vescovo Cipriano disse: «Fa' ciò che ti è stato ordinato. In una cosa così giusta non c'è da riflettere».
Galerio Massimo, dopo aver conferito con il collegio dei magistrati, a stento e a malincuore pronunziò questa sentenza: «Tu sei vissuto a lungo sacrilegamente e ti sei aggregato moltissimi della tua setta criminale, e ti sei costituito nemico degli dèi romani e dei loro sacri riti. I pii e santissimi imperatori Valeriano e Gallieno Augusti e Valeriano nobilissimo Cesare non riuscirono a ricondurti all'osservanza delle loro cerimonie religiose. E perciò, poiché sei risultato autore e istigatore dei peggiori reati, sarai tu stesso di esempio a coloro che hai associato alle tue scellerate azioni. Col tuo sangue sarà sancito il rispetto delle leggi». E dette queste parole, lesse ad alta voce da una tavoletta il decreto: «Ordino che Tascio Cipriano sia punito con la decapitazione». Il vescovo Cipriano disse: «Rendiamo grazie a Dio».
Dopo questa sentenza la folla dei fratelli diceva: «Anche noi vogliamo esser decapitati insieme a lui». Per questo una grande agitazione sorse fra i fratelli e molta folla lo seguì. E così Cipriano fu condotto nella campagna di Sesti e qui si spogliò del mantello e del cappuccio, si inginocchiò a terra e si prostrò in orazione al Signore. Si tolse poi la dalmatica e la consegnò ai diaconi, restando con la sola veste di lino, e così rimase in attesa del carnefice.
Quando poi questo giunse, il vescovo diede ordine ai suoi di dargli venticinque monete d'oro. Frattanto i fratelli stendevano davanti a lui pannolini e fazzoletti. Quindi il grande Cipriano con le sue stesse mani si bendò gli occhi, ma siccome non riusciva a legarsi le cocche del fazzoletto, intervennero ad aiutarlo il presbitero Giuliano e il suddiacono Giuliano. Così il vescovo Cipriano subì il martirio e il suo corpo, a causa della curiosità dei pagani, fu deposto in un luogo vicino dove potesse essere sottratto allo sguardo indiscreto dei pagani. Di là, poi, durante la notte, fu portato via con fiaccole e torce accese e accompagnato fino al cimitero del procuratore Macrobio Candidiano che è nella via delle Capanne presso le piscine. Dopo pochi giorni il proconsole Galerio Massimo morì.
Il santo vescovo Cipriano subì il martirio il 14 settembre sotto gli imperatori Valeriano e Gallieno, regnando però il nostro Signore Gesù Cristo a cui è onore e gloria nei secoli dei secoli. Amen.

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