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mercoledì 14 agosto 2024
RICAPITOLANDO
Ma ricapitoliamo brevemente tutto il discorso con i suoi corollari, per motivi di chiarezza: è per
necessità suprema che l’uomo si trovi completamente sotto il vero e perpetuo potere di Dio: perciò
non si può affatto concepire la libertà dell’uomo se non dipendente da Dio e soggetta alla Sua
volontà. Negare in Dio tale sovranità o non assoggettarsi ad essa non è comportamento di uomo
libero, ma di chi abusa della libertà per tradirla; in verità da tale disposizione d’animo si forma e si
realizza il vizio capitale del Liberalismo. Il quale tuttavia si distingue in molteplici forme: infatti la
volontà, in modo e in grado diversi, può rifiutare l’obbedienza che è dovuta a Dio o a coloro che
sono partecipi del potere divino.
Certamente, ricusare radicalmente la sovranità del sommo Dio e rifiutargli ogni obbedienza, sia
nella vita pubblica, sia nella vita privata e domestica, è la massima perversione della libertà come
anche la peggiore specie di Liberalismo: in tale senso deve essere inteso quanto finora abbiamo
detto contro tale dottrina.
Affine è la concezione di coloro che sono d’accordo sulla necessità di sottomettersi a Dio, creatore
e signore del mondo, in quanto dal suo potere riceve armonia la natura, però temerariamente
ripudiano le leggi della fede e della morale in quanto non rientrano nella natura ma provengono
dall’autorità di Dio, o almeno – dicono – non vi è alcun motivo di tenerle in considerazione,
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soprattutto nella società civile. Abbiamo visto più sopra quanto costoro siano involti nell’errore e
quanto poco siano coerenti con se stessi. Da questa dottrina, come da una sorgente, deriva la
funesta opinione che la Chiesa deve essere separata dallo Stato; è invece evidente che entrambi i
poteri, dissimili nei doveri e diversi di grado, devono tuttavia essere tra loro consenzienti nell’agire
concorde e nello scambio dei compiti.
Tale opinione è soggetta a una duplice interpretazione. Molte persone infatti vogliono lo Stato
totalmente separato dalla Chiesa, in modo che in ogni norma che regola la convivenza umana,
nelle istituzioni, nei costumi, nelle leggi, negli impieghi statali, nella educazione della gioventù, si
debba considerare la Chiesa come se non esistesse, pur concedendo infine ai singoli cittadini la
facoltà di dedicarsi alla religione in forma privata, se così piace. Contro costoro vale la forza di tutti
gli argomenti coi quali confutammo l’opinione relativa alla separazione della Chiesa e della società
civile, ma con questa postilla: è assurdo che il cittadino onori la Chiesa e che la società la
disprezzi.
Altri non contestano che la Chiesa esista, né potrebbero affermare diversamente; essi tuttavia le
negano il carattere e i diritti propri di una società perfetta e la facoltà di fare le leggi, di giudicare, di
punire, ma soltanto di esortare, persuadere, governare coloro che spontaneamente le si
sottomettono. Pertanto con tale opinione snaturano il carattere di questa divina società; debilitano
e restringono l’autorità, il magistero e tutta la sua influenza, amplificando al contempo la forza e il
potere del principato civile fino al punto di sottoporre la Chiesa di Dio al dominio e all’arbitrio dello
Stato, come fosse un qualsivoglia associazione volontaria di cittadini. Per respingere questi
argomenti valgono quelli usati dagli Apologisti e da Noi ricordati particolarmente nell’Enciclica
Immortale Dei, dai quali si evince che, per istituzione divina, alla Chiesa compete tutto quanto
appartiene alla natura e ai diritti di una legittima, suprema e perfetta società.
Vi sono molti, infine, che non approvano la separazione della Chiesa dallo Stato, ma ritengono
che la Chiesa debba adeguarsi ai tempi e si pieghi e si adatti a quelle misure che nella
amministrazione degli Stati sono suggerite dalla moderna avvedutezza. È onesto il parere di
costoro, se lo si intende come ragionevole equità che possa coesistere con la verità e la giustizia:
cioè in modo che la Chiesa, accolta la speranza di qualche gran bene, si mostri indulgente e
conceda ai tempi quanto più le è possibile, fatta salva la sacralità della sua missione. Ma non è
così quando si tratta di fatti e dottrine che siano introdotte dalla mutazione dei costumi e da fallaci
opinioni. Nessuna epoca può fare a meno della religione, della verità, della giustizia; Dio ordinò
che questi sommi e santissimi beni fossero posti a tutela della Chiesa e perciò nulla è tanto
assurdo quanto pretendere che la Chiesa ipocritamente accetti sia la falsità che l’ingiustizia, o sia
connivente con ciò che nuoce alla religione.
Da quanto si è detto consegue che non è assolutamente lecito invocare, difendere, concedere una
ibrida libertà di pensiero, di stampa, di parola, d’insegnamento o di culto, come fossero altrettanti
diritti che la natura ha attribuito all’uomo. Infatti, se veramente la natura li avesse concessi,
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sarebbe lecito ricusare il dominio di Dio, e la libertà umana non potrebbe essere limitata da alcuna
legge. Ne consegue del pari che queste varie libertà possono essere tollerate se vi sia un giusto
motivo, ma entro certi limiti di moderazione, in modo che non degenerino nell’arbitrio e
nell’arroganza. Dove infatti vige la consuetudine di queste libertà, i cittadini le trasformino in
facoltà di agire correttamente e di esse abbiano il concetto medesimo che ne ha la Chiesa.
Pertanto ogni libertà è da ritenere legittima finché procura più frequenti occasioni di onesta
condotta, altrimenti no.
Dove la tirannide opprima o sovrasti in modo tale da sottomettere la cittadinanza con iniqua
violenza, o costringa la Chiesa ad essere priva della dovuta libertà, è lecito chiedere una diversa
organizzazione dello Stato, in cui sia concesso agire liberamente; in questo caso non si rivendica
quella smodata e colpevole libertà, ma qualche sollievo a vantaggio di tutti e si agisce così
solamente perché non sia impedita la facoltà di comportarsi onestamente là dove si concede
licenza al malaffare.
Inoltre, non è vietato preferire un tipo di Stato regolato dalla partecipazione popolare, fatta salva la
dottrina cattolica circa l’origine e l’esercizio del pubblico potere. Tra i vari tipi di Stato, purché siano
di per se stessi in grado di provvedere al benessere dei cittadini, nessuno è riprovato dalla Chiesa;
essa pretende tuttavia ciò che anche la natura comanda: che i singoli Stati si reggano senza
recare danno ad alcuno, e soprattutto rispettino i diritti della Chiesa.
Èonesto partecipare alla pubblica amministrazione, a meno che in qualche luogo, per eccezionali
circostanze di tempo e di cose, non venga disposto diversamente; anzi la Chiesa approva che
ognuno dedichi l’opera sua al comune vantaggio e che con ogni sua iniziativa – nei limiti del
possibile – difenda, consolidi, renda prospero lo Stato. La Chiesa non condanna una nazione che
voglia essere indipendente dallo straniero o da un tiranno, purché sia salva la giustizia. Infine non
rimprovera neppure coloro che propugnano uno Stato retto da proprie leggi, e una cittadinanza
dotata della più ampia facoltà di accrescere il proprio benessere.
La Chiesa fu sempre coerente fautrice delle libertà civili, purché non intemperanti: ne sono validi
testimoni le città d’Italia che, attraverso i Comuni, raggiunsero la prosperità, la ricchezza, la gloria
esercitando i propri diritti, nel tempo in cui la virtù salutare della Chiesa si era diffusa in ogni parte
dello Stato, senza alcun contrasto.
Venerabili Fratelli, confidiamo che questi concetti, che abbiamo espresso guidati ad un tempo
dalla fede e dalla ragione nell’adempimento del Nostro dovere apostolico, riescano fruttuosi per
molti, soprattutto se coopererete con Noi. E Noi, nell’umiltà del Nostro cuore, alziamo supplici gli
occhi a Dio e con ardore Lo preghiamo perché voglia benevolmente infondere negli uomini il lume
della sua sapienza e del suo consiglio, in modo che, confortati da queste virtù, possano
distinguere la verità in situazioni così difficili, e di conseguenza possano vivere in privato, in
pubblico, in ogni tempo, con inalterabile costanza fedeli alla verità. Come auspicio di celesti doni e
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come testimonianza della Nostra benevolenza, a Voi, Venerabili Fratelli, al Clero e al popolo a Voi
affidato, impartiamo con grande affetto nel Signore l’Apostolica Benedizione.
Dato a Roma, presso San Pietro, il 20 giugno 1888, nell’anno undecimo del Nostro Pontificato.
LEONE PP. XIII
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