ECCO LA PROVA DELL'APOSTASIA
L’apostasia della Chiesa, ecco la prova. "Iota
unum!": a nessuno è lecito modificare il Magistero e nessuna
"Verità" insegnata dalla Chiesa può essere modificata ad arbitrio di
chicchessia, fosse pure un Pontefice o un Concilio.
di
Francesco Lamendola
Si discute da tempo se il Concilio Vaticano II sia in
continuità o in discontinuità con il Magistero infallibile della Chiesa: ed è
una discussione doverosa e necessaria, poiché da essa dipende se la Chiesa dopo
il 1965 sia rimasta fedele a se stessa o se abbia proceduto ad una sostanziale
revisione della sua dottrina. In questo secondo caso, la Chiesa successiva al
Concilio sarebbe apostatica ed eretica, poiché a nessuno è lecito modificare il
Magistero e nessuna verità insegnata dalla Chiesa può essere modificata ad
arbitrio di chicchessia, fosse pure un Pontefice o un Concilio ecumenico. Iota
unum, diceva il teologo Romano Amerio, citando le parole di Gesù Cristo:
neppure uno iota può essere tolto o modificato di ciò che riflette fedelmente
la Parola di Dio. Si tratta di una questione di rilevanza assoluta, che
coinvolge la stessa ragion d’essere della Chiesa. Il fine della Chiesa è
condurre le anime alla salvezza attraverso la Verità; ma se la Chiesa
modificasse i suoi insegnamenti nel corso del tempo, mostrando così di
adeguarsi ad un sapere umano e non già di esprimere una Verità perenne e
immodificabile proveniente da Dio, ciò vorrebbe dire che la Chiesa è una
creazione puramente umana, soggetta a tutte le mutevolezze umane, priva
dell’assistenza infallibile che discende da Dio.
Ora, c’è almeno un punto (in realtà ve ne sono anche altri,
ma per amor di chiarezza ci limiteremo al nodo essenziale) nel quale si
registra, innegabilmente, una distanza e una contraddizione fra ciò che la
Chiesa ha insegnato nel corso di tanti secoli e ciò che ha preso ad insegnare a
partire dal 7 dicembre 1965. Nella Dichiarazione Conciliare Dignintas humanae
del 7 dicembre 1965, Paolo VI afferma infatti (I,2):
2. Questo Concilio Vaticano dichiara che la persona umana ha
il diritto alla libertà religiosa. Il contenuto di una tale libertà è che gli
esseri umani devono essere immuni dalla coercizione da parte dei singoli
individui, di gruppi sociali e di qualsivoglia potere umano, così che in materia
religiosa nessuno sia forzato ad agire contro la sua coscienza né sia impedito,
entro debiti limiti, di agire in conformità ad essa: privatamente o
pubblicamente, in forma individuale o associata. Inoltre dichiara che il
diritto alla libertà religiosa si fonda realmente sulla stessa dignità della
persona umana quale l'hanno fatta conoscere la parola di Dio rivelata e la
stessa ragione. Questo diritto della persona umana alla libertà religiosa deve
essere riconosciuto e sancito come diritto civile nell'ordinamento giuridico
della società.
A motivo della loro dignità, tutti gli esseri umani, in
quanto sono persone, dotate cioè di ragione e di libera volontà e perciò
investiti di personale responsabilità, sono dalla loro stessa natura e per
obbligo morale tenuti a cercare la verità, in primo luogo quella concernente la
religione. E sono pure tenuti ad aderire alla verità una volta conosciuta e ad
ordinare tutta la loro vita secondo le sue esigenze. Ad un tale obbligo, però,
gli esseri umani non sono in grado di soddisfare, in modo rispondente alla loro
natura, se non godono della libertà psicologica e nello stesso tempo
dell'immunità dalla coercizione esterna. Il diritto alla libertà religiosa non
si fonda quindi su una disposizione soggettiva della persona, ma sulla sua
stessa natura. Per cui il diritto ad una tale immunità perdura anche in coloro
che non soddisfano l'obbligo di cercare la verità e di aderire ad essa, e il
suo esercizio, qualora sia rispettato l'ordine pubblico informato a giustizia,
non può essere impedito.
Per poi sostenere che il principio della libertà religiosa
affonda le sue radici nella stessa Rivelazione e quindi nelle Scritture
(Dignitatis humanae, II, 9-10):
9. Quanto questo Concilio Vaticano dichiara sul diritto
degli esseri umani alla libertà religiosa ha il suo fondamento nella dignità
della persona, le cui esigenze la ragione umana venne conoscendo sempre più
chiaramente attraverso l'esperienza dei secoli. Anzi, una tale dottrina sulla
libertà affonda le sue radici nella Rivelazione divina, per cui tanto più va
rispettata con sacro impegno dai cristiani. Quantunque, infatti, la Rivelazione
non affermi esplicitamente il diritto all'immunità dalla coercizione esterna in
materia religiosa, fa tuttavia conoscere la dignità della persona umana in
tutta la sua ampiezza, mostra il rispetto di Cristo verso la libertà umana
degli esseri umani nell'adempimento del dovere di credere alla parola di Dio, e
ci insegna lo spirito che i discepoli di un tale Maestro devono assimilare e
manifestare in ogni loro azione. Tutto ciò illustra i principi generali sopra
cui si fonda la dottrina della presente dichiarazione sulla libertà religiosa.
E anzitutto, la libertà religiosa nella società è in piena rispondenza con la
libertà propria dell'atto di fede cristiana.
10. Un elemento fondamentale della dottrina cattolica,
contenuto nella parola di Dio e costantemente predicato dai Padri, è che gli
esseri umani sono tenuti a rispondere a Dio credendo volontariamente; nessuno,
quindi, può essere costretto ad abbracciare la fede contro la sua volontà.
Infatti, l'atto di fede è per sua stessa natura un atto volontario, giacché gli
essere umani, redenti da Cristo Salvatore e chiamati in Cristo Gesù ad essere
figli adottivi, non possono aderire a Dio che ad essi si rivela, se il Padre
non li trae e se non prestano a Dio un ossequio di fede ragionevole e libero. È
quindi pienamente rispondente alla natura della fede che in materia religiosa
si escluda ogni forma di coercizione da parte degli esseri umani. E perciò un regime
di libertà religiosa contribuisce non poco a creare quell'ambiente sociale nel
quale gli esseri umani possono essere invitati senza alcuna difficoltà alla
fede cristiana, e possono abbracciarla liberamente e professarla con vigore in
tutte le manifestazioni della vita.
Come si vede, Paolo VI ed i Padri conciliari (2.308 dei
quali hanno approvato il documento, contro soli 70 contrari) hanno assunto
quale definizione del concetto di libertà religiosa l’assenza di ogni
coercizione esterna, particolarmente di tipo fisico: ogni uomo, pertanto,
avrebbe il diritto di credere, o anche di non credere, in una qualsiasi fede
religiosa, e nessuno avrebbe il diritto di contrastare tale diritto. Ma è
proprio questo il vero significato del concetto di libertà religiosa, nella
dottrina cattolica? È questo che la Chiesa, attraverso il suo Magistero
infallibile, ha sempre insegnato?
Facciamo un passo indietro e proviamo a ragionare al lume
del buon senso. Se la Chiesa intendesse per libertà religiosa il diritto soggettivo
di credere (o non credere) in qualsiasi dottrina, non solo si aprirebbero
scenari sorprendenti e inquietanti, dal momento che non si vede perché sarebbe
lecito, poniamo, abbracciare la rivelazione ebraica o quella islamica, e non
quella recata degli extraterrestri per bocca dei “contattisti” o, al limite (ma
oggi ci siamo arrivati) prestare il proprio culto a Satana; ma ciò equivarrebbe
a fare della Chiesa una fonte di relativismo. Spostando il concetto del culto
dovuto a Dio dall’oggettività del vero Dio alla soggettività della persona
umana, con tutti i suoi limiti e i suoi possibili traviamenti, si creano le
premesse per dichiarare che la fede in Dio è relativa e dipende da fattori
soggettivi, sia individuali, ad esempio di tipo psicologico, sia collettivi,
come quelli di tipo culturale. Pertanto, si arriverebbe alla conclusione
paradossale che tutte le fedi sono buone, se coloro i quali vi aderiscono
proclamano la propria buona fede, sempre però, inevitabilmente, in termini
soggettivi.
Gregorio XVI, nell’enciclica Mirari Vos del 15 agosto 1832,
scrive:
Veniamo ora ad un’altra sorgente trabocchevole dei mali, da
cui piangiamo afflitta presentemente la Chiesa: vogliamo dire l’indifferentismo
ossia quella perversa opinione che per fraudolenta opera degl’increduli si
dilatò in ogni parte, e secondo la quale si possa in qualunque professione di
Fede conseguire l’eterna salvezza dell’anima se i costumi si conformano alla
norma del retto e dell’onesto. Ma a voi non sarà malagevole cosa allontanare
dai popoli affidati alla vostra cura un errore così pestilenziale intorno ad
una cosa chiara ed evidentissima, senza contrasto. Poiché è affermato
dall’Apostolo (Ad Ephes., 4,5) che esiste “un solo Iddio, una sola Fede, un
solo Battesimo”, temano coloro i quali sognano che veleggiando sotto bandiera
di qualunque Religione possa egualmente approdarsi al porto dell’eterna
felicità, e considerino che per testimonianza dello stesso Salvatore (Lc 11,23)
“essi sono contro Cristo, perché non sono con Cristo”, e che sventuratamente
disperdono solo perché con lui non raccolgono; quindi “senza dubbio periranno
in eterno se non tengono la Fede cattolica, e questa non conservino intera ed
inviolata” (Symbol. S. Athanasii). Ascoltino San Girolamo il quale – trovandosi
la Chiesa divisa in tre parti a causa dello scisma – racconta che, tenace come
egli era del santo proposito, quando qualcuno cercava di attirarlo al suo
partito, egli rispondeva costantemente ad alta voce: “Chi sta unito alla
Cattedra di Pietro, quegli è mio” (S. Girolamo, Ep. 58). A torto poi qualcuno,
fra coloro che alla Chiesa non sono congiunti, oserebbe trarre ragione di
tranquillizzante lusinga per essere anche lui rigenerato nell’acqua di salute;
poiché gli risponderebbe opportunamente Sant’Agostino: “Anche il ramoscello
reciso dalla vite ha la stessa forma, ma che gli giova la forma se non vive
della radice?”(S. Agostino, Salmo contro part. Donat.).
Da questa corrottissima sorgente dell’indifferentismo
scaturisce quell’assurda ed erronea sentenza, o piuttosto delirio, che si debba
ammettere e garantire a ciascuno la libertà di coscienza: errore velenosissimo,
a cui apre il sentiero quella piena e smodata libertà di opinione che va sempre
aumentando a danno della Chiesa e dello Stato, non mancando chi osa vantare con
impudenza sfrontata provenire da siffatta licenza qualche vantaggio alla
Religione. «Ma qual morte peggiore può darsi all’anima della libertà
dell’errore?» esclamava Sant’Agostino [Ep. 166]. Tolto infatti ogni freno che
tenga nelle vie della verità gli uomini già diretti al precipizio per la natura
inclinata al male, potremmo dire con verità essersi aperto il «pozzo d’abisso»
(Ap 9,3), dal quale San Giovanni vide salire tal fumo che il sole ne rimase
oscurato, uscendone locuste innumerabili a devastare la terra. Conseguentemente
si determina il cambiamento degli spiriti, la depravazione della gioventù, il
disprezzo nel popolo delle cose sacre e delle leggi più sante: in una parola,
la peste della società più di ogni altra esiziale, mentre l’esperienza di tutti
i secoli, fin dalla più remota antichità, dimostra luminosamente che città
fiorentissime per opulenza, potere e gloria per questo solo disordine, cioè per
una eccessiva libertà di opinioni, per la licenza delle conventicole, per la
smania di novità andarono infelicemente in rovina.
Da parte sua Pio IX, nell’enciclica Qui pluribus del 9
novembre 1846:
Altrettanto diciamo [cioè condanniamo] di quel sistema che
ripugna allo stesso lume della ragione naturale, che è l’indifferenza della
Religione, con il quale costoro, tolta ogni distinzione fra virtù e vizio, fra
verità ed errore, fra onestà e turpitudine, insegnano che qualsivoglia
religione sia ugualmente buona per conseguire la salute eterna, come se fra la
giustizia e le passioni, fra la luce e le tenebre, fra Cristo e Belial potesse
mai essere accordo o comunanza. Mira al medesimo fine la turpe cospirazione
contro il sacro celibato dei Chierici, fomentata, oh che dolore!, anche da
alcuni uomini di Chiesa, miseramente dimentichi della propria dignità, e
cedevoli agli allettamenti della voluttà. A questo tende altresì la perversa
istituzione di ammaestrare nelle discipline filosofiche, con le quali si
corrompe l’incauta gioventù, propinandole il fiele del drago nel calice di
Babilonia.
E sempre Pio IX, nella enciclica Singulari quidem del 17
marzo 1856, rivolta ai cardinali ed ai vescovi austriaci:
Vegliate sulla incolumità del vostro gregge, preservatelo da
tutte le frodi e le insidie dei nemici. Infatti Voi conoscete bene gli infami
artifici, le numerose macchinazioni e le mostruose invenzioni di ogni genere di
opinioni con cui astuti architetti di dogmi perversi tentano di deviare dal
sentiero della verità e della giustizia e di trascinare nell’errore e nella
perdizione gli improvvidi e soprattutto gli sprovveduti. E neppure ignorate,
Diletti Figli Nostri e Venerabili Fratelli, che tra i tanti e mai abbastanza
deplorati mali che turbano e sconvolgono la società ecclesiastica e civile, ora
ne emergono in particolare due, che si possono considerare a buon diritto come
l’origine di tutti gli altri. A Voi infatti sono anzitutto noti gli
innumerevoli e funestissimi danni che sulla società cristiana e civile si
riversano dal fetido errore dell’indifferentismo. Da qui la grave negligenza in
tutti i doveri verso Dio in cui viviamo, ci muoviamo e siamo; da qui trascurata
la santissima religione; da qui scosse e quasi sconvolte le fondamenta di ogni
diritto, della giustizia e della virtù. Da questa ignobile forma
d’indifferentismo non molto si scosta la teoria, eruttata dalle tenebre,
dell’indifferenza delle religioni per cui uomini estranei alla verità,
avversari del vero credo religioso e immemori della loro salute, docenti di
principi contraddittori e sprovvisti di solido convincimento, non ammettono
alcuna differenza tra le professioni di fede più divergenti, vivono in pace con
tutti, e pretendono che a tutti, a qualunque religione appartengano, sia aperto
l’ingresso alla vita eterna. Infatti nulla importa loro, sebbene di diverse
tendenze, pur di cospirare alla rovina dell’unica verità [Tertull., De
praescript., cap. 41].
Voi vedete, Diletti Figli Nostri e Venerabili Fratelli, di
quale vigilanza occorre dar prova per impedire che il contagio di una peste
tanto funesta infetti e distrugga miseramente le vostre pecore. Pertanto non
rinunciate a premunire con zelo da questi esiziali errori i popoli a Voi
affidati; a istruirli ogni giorno più intimamente nella dottrina della verità
cattolica; a insegnare loro che, come vi è un solo Dio Padre, un solo Cristo Figlio
di Lui, un solo Spirito Santo, così vi è una sola verità divinamente rivelata,
una sola fede divina, principio d’umana salvezza, fondamento di ogni normativa
per la quale il giusto vive, e senza la quale è impossibile piacere a Dio e
pervenire alla comunione dei suoi figli (cf. Rm 1,16-17; Eb 11,5) [Conc. Trid.,
sess. 6, cap. 8]; non vi è che una vera, santa, cattolica, Apostolica, Romana
Chiesa e una sola Cattedra fondata dalla voce del Signore su Pietro [S.
Cyprian., Epist. 43], e all’infuori di essa non si trova né la vera fede né la
salute eterna, in quanto non può avere Dio come Padre chi non ha la Chiesa come
madre e assurdamente confida di appartenere alla Chiesa colui che abbandona la
Cattedra di Pietro sulla quale è fondata la Chiesa [S. Cyprian., De unitat.
Eccl.].
Si potrebbe continuare a lungo, citando altre encicliche e
documenti di altri papi, ma la sostanza rimane la stessa: con la Dignitatis
humanae si opera una rottura, per cui la Chiesa afferma un principio che è in
contrasto con quanto affermato dal Magistero fino a quel momento. Perciò i
casi, evidentemente, sono due: o sbagliava la Chiesa prima del 1965 a rifiutare
e condannare il principio della libertà religiosa, oppure ha sbagliato poi, con
il Concilio Vaticano II e la Dignitatis humanae. Verrebbe da dire, così, di
primo acchito, che è più probabile che abbia sbagliato dopo, sia perché
sessant’anni e i sei papi succedutisi da allora sono poca cosa nella storia
della Chiesa, rispetto ai diciannove secoli durante i quali, per bocca di
duecentosessanta papi e nel corso di venti concili, è stata sostenuta, o data
per scontata e sottintesa, una dottrina opposta a quella proclamata nella
Dignitatis humanae; sia perché per un credente il Magistero della Chiesa, e
specialmente quello del Romano Pontefice, è infallibile in quanto ispirato da
Dio, e quindi è arduo pensare che Dio per 1.900 anni si sia “distratto” e abbia
permesso a 260 papi e a 20 concili d’insegnare una dottrina erronea. Ciò
equivarrebbe a porre il Magistero ecclesiastico sul piano degl’insegnamenti
meramente umani, nei quali, in effetti, un’idea erronea può persistere a lungo,
fatte salve la buona fede e le ottime intenzioni di chi la sostiene.
Domandiamoci, a questo punto, che cos’è il Magistero. Esso è
l’insegnamento per mezzo del quale la Chiesa ha raccolto, custodito e
tramandato il Deposito della fede, ossia la dottrina rivelata agli uomini da
Gesù Cristo, e che noi (cattolici) conosciamo attraverso le due fonti delle
Sacre Scritture e della Tradizione. Il Magistero comprende non solo il
Deposito, ma anche ciò che da esso deriva ed ha lo scopo di preservarlo e
tramandarlo intatto ai fedeli. In altre parole, il Magistero, come è evidente,
non può contraddire se stesso e non può condurre alla negazione o al mutamento
del Deposito della fede: infatti il Magistero esiste e viene esercitato in
funzione della gelosa custodia del Deposito, e non già il Deposito esiste in
funzione del Magistero. A questo punto abbiamo anche la risposta alla
precedente domanda: no, il Magistero non può mutare perché se mutasse,
muterebbe anche il Deposito della fede: il che è impossibile per definizione.
Resta perciò una sola conclusione: se il Magistero si discostasse da se stesso,
sarebbe ipso facto un falso magistero, eretico e malvagio.
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