mercoledì 17 aprile 2013

L' ORDINE POLITICO NEI TESTI SACRI


L’ ordine politico e sociale nei testi sacri 

All’ inizio della storia   non c’era il problema della conduzione politica dell’ umanità ,né la ricerca di un bene comune , nè della democrazia perché non c ‘erano nuclei ben costituiti; non c’era un popolo ma dei clan al massimo   e  tutto si basava sui rapporti sociali all’ interno di nuclei familiari  consanguinei dove un ruolo centrale di autorità indiscussa  lo svolgevano gli anziani e  i  pater familias delle società naturali .

Nei sacri testi il problema  politico si pone subito dopo l’ uscita dall’Egitto  perché gli ebrei entrano in Egitto come clan e come società patriarcale ,cioè dei  piccoli nuclei familiari che non avevano bisogno di regolarsi giuridicamente  e socialmente perché  bastavano  gli anziani  o un  consiglio dei saggi . Le uniche regole generiche e generali che troviamo nella genesi sono  rivolte a tutti gli uomini : “andate ,spargetevi ,  popolate la terra e a ognuno sarà chiesto conto del sangue del fratello … “.   Però subito dopo l’ Egitto, già durante il tragitto verso la terra loro assegnata , è Dio stesso che  precede gli eventi preparando una legge da osservare fedelmente  in quella terra . Dio li precede in tutto . Essendosi oramai moltiplicato il gruppo familiare partito da dodici famiglie , diventato una moltitudine e creando un problema politico allo stesso faraone che inizia subito  una campagna di pianificazione  familiare nei loro riguardi ; Dio manda un liberatore ma nello stesso tempo un legislatore al momento giusto .  Nel deserto del Sinai concede le prime tracce di una  legge generale ,scritta su pietra con  l’alfabeto ieratico  e non in geroglifico, l’alfabeto sacerdotale egiziano  ; una legge  che via via  i saggi e gli anziani dovranno applicare  alle situazioni particolari e alla geografia dei nuovi luoghi, magari aggiungendo delle definizioni particolari senza snaturarla . E’ chiaro che  subito viene regolarizzato anche il culto liturgico ,specialmente del sacrificio  espiatorio.    Infatti come si fa a mettere a posto con la coscienza di  un individuo , di  un gruppo o di un popolo  che ha disatteso in parte quella legge , che è quasi impossibile ? Ecco la necessità dell’ espiazione che ha carattere specialmente individuale . Quella data da Dio all’ umanità tramite Mosè e gli ebrei non era altro che la legge naturale  universale e non poteva essere altrimenti . Non rubare , non uccidere ,onora il padre e la madre, erano norme di convivenza sociale e civile  da applicare dappertutto ; sulla strada , in guerra , in tribunale , nell’ igiene generale !!  Infatti si può ammazzare qualcuno non solo rubando ma anche non osservando alcune norme basilari  come non lavarsi le mani ,oppure per  le donne non lavandosi dopo il ciclo …..come anche nel seppellire i morti, magari deceduti con malattie infettive ….. Si può ammazzare il prossimo anche   con l’ usura  e le tasse…  . La profilassi e prevenzione sanitaria   veniva fatta con regole contro l’ uso di carne  suina oppure di particolari pesci e animali potenzialmente pericolosi  sul piano batterico – L’ordine generale di popolare la terra qui veniva regolarizzato con il matrimonio quasi monogamico … perché non si trattava  di fare figli e distribuirli a destra a  manca per riempire la terra , poi bisogna crescerli e nutrirli … quindi il matrimonio monogamico ha funzione di pianificazione familiare e non la contraccezione o le politiche del condom delle multinazionali  americane … !!!!!!!     Le normi generali.le principali  e  fondamentali , scritte  su pietra , erano conservate in un’ urna detta Arca, oggetto di culto , giustamente   .

Ma veniamo al nostro argomento e osserviamo che all’ interno della società basata sul potere degli  anziani che fungevano da guardiani della norma e tradizione , c’erano non solo  i sacerdoti per il culto   ma c ‘era una tribù non legata al culto stesso quanto piuttosto   legata   alla conduzione politica ed amministrativa di quella  società basata sulla legge . C’era la tribù di Giuda e la famiglia di Davide. Questi vengono scelti a guidare o governare la società basata sulla legge e  non i sacerdoti o i  leviti .   Davide non appartiene a una stirpe sacerdotale ,non si occupa del culto ma piuttosto  di farla applicare dappertutto e quando lo fa trova il bene comune suo e della sua società  ; non lo deve inventare  il bene comune o costruirselo o farlo votare  da solo secondo le esigenze delle nuove classi e dei nuovi poveri …   infatti non uccidere , non rubare significa non fare usura e salvare milioni di poveri !!!!   Non esiste democrazia, non esiste demagogia dei diritti umani nella bibbia  , non esiste ideologia , non ci sono encicliche sociali  perché la legge è di tutti e non deve essere votata ,perchè se Dio aspettava che doveva essere prima capita e poi votata stavamo ancora a lavorare la pietra . Ma se non c’ erano scuole che insegnavano un mestiere e a leggere e a scrivere, come facevano a capire la legge ? E ammesso che la capivano e decifravano, poi chi la metteva in pratica ? Chi   l ‘avrebbe fatta osservare ?  Ecco che Dio diventa spietato contro chi attentava al bene comune con l’ infrazione della legge ; il singolo doveva avere terrore perché si  cammina sulla china del male  in tutti i sensi.  Male sociale e male personale . Quella pena di morte preservava il bene comune e salvava la società ,non era semplice vendetta .  Si canonizzava poi il processo civile ; nessuno doveva morire senza processo ! La vendetta personale non esisteva !  tranne  che in guerra tutto doveva finire sotto precesso e con sentenza di morte !!!!!   ! L’osservanza  generale  della legge  di per se assicurava  infatti  una giustizia per tutti che alla lunga l avrebbe preservato il popolo e l’ individue che l ‘avrebbe praticata   e  osservata .  Giusto e buono onorevole, era l’ individuo e il popolo  che la praticava . Quindi si pone oggi ,lo stesso problema né più ne meno . by affus

 

domenica 10 marzo 2013

CATTOLICESIMO e legge naturale

CATTOLICESIMO
Il cattolicesimo ha in se due anime . Una riguardante la difesa della legge naturale universale, per la sopravvivenza degli esseri umani sulla terra la cui sopravvivenza è legata alla legge naturale ,quindi riguarda un impegno politico, e un'anima riguardante la salvezza personale .
Per quanto riguarda la difesa del diritto naturale, cioè la giustizia tra uomo e uomo o gruppi sociali , questo già avviene perchè ogni Stato , ogni autorità civile e militare ha solo questo compito : il bene pubblico , che poi lo realizzano in favore di caste e di partiti ideologici, è un altro conto e un capitolo a parte da scrivere .La Chiesa cattolica invece si interessa esclusivamente di salvezza personale e comunitaria , ma questa salvezza si basa sull' osservanza certa e onesta della legge naturale del singolo e del popolo il cui fine è la sopravvivenza materiale della specie innanzitutto . Per quale motivo dovremmo seguire le proposte di salvezza della specie di certi movimenti ideologici e naturalistici che quasi sempre , mostrando un bene apparente e immediato ma fasullo che alla fine distruggono l 'umanità che li applica . Lo sapete ad esempio che in Cina non ci sono più donne da sposare con uomini a causa dell’ aborto obbligato al secondo figlio e bisogna ricorrere a trucchi e sotterfugi per avere figli e fra qualche decennio sono destinati all'estinzione ? Quindi dopo il falso comunismo , avremo lì l'estinzione della specie prima per fame e poi per auto-suicidio generale

venerdì 1 marzo 2013

Origini e sviluppo della questione democristiana


Origini e sviluppo della questione democristiana nella storia del movimento cattolico dopo la Breccia di Porta Pia: dall’intransigentismo alla subalternità

 di Marco Invernizzi

[Da «Cristianità» n. 297 (2000)]

I. Alcune interpretazioni della storia del movimento democratico cristiano

1. Una "minoranza illuminata" contro il mondo conservatore

Una lettura particolarmente diffusa nel mondo cattolico interpreta la storia del movimento democratico cristiano — inteso in senso ampio, comprendente la corrente sorta all’interno dell’Opera dei Congressi e dei Comitati Cattolici (1874-1903) negli ultimi anni del secolo XIX — come la lotta di una minoranza illuminata contro l’inerzia del popolo cristiano, conservatore e reazionario, incapace di leggere i segni dei tempi. È la lettura riproposta nell’agosto del 1999 dall’on. Ciriaco De Mita: "
Quando gli storici si occuperanno di fatti e non solo di propaganda spiegheranno che il grande merito della DC è stato quello di avere educato un elettorato che era naturalmente su posizioni conservatrici se non reazionarie a concorrere alla crescita della democrazia. La Dc prendeva i voti a destra e li trasferiva sul piano politico a sinistra" (1). Ma tale lettura era già stata avanzata vent’anni prima, nel luglio del 1979, dal professor Pietro Scoppola: "Sturzo era minoritario e all’inizio anche De Gasperi. Ma nei momenti migliori il filone democratico ha egemonizzato il mondo cattolico" (2); e, soprattutto, fa parte del modo d’essere, del codice genetico, del come ama auto-rappresentarsi il militante cattolico democratico e progressista (3).

Dalla fine del 1800 al nuovo Partito Popolare Italiano, sorto fra il 18 e il 22 gennaio 1994 dalla trasformazione del partito della Democrazia Cristiana, questa minoranza avrebbe operato come movimento democratico cristiano, costituendo lo strumento politico di quei cattolici democratici in costante contrapposizione con il resto del mondo cattolico, considerato bigotto in religione e conservatore in politica (4). Questa minoranza ha combattuto la resistenza del mondo conservatore in diverse circostanze.

a. Contro i "veneti"

Il primo scontro è con i "vecchi" cattolici intransigenti dell’Opera dei Congressi, in particolare con i cosiddetti "veneti", Giambattista Paganuzzi (1841-1923), Giuseppe Sacchetti (1845-1906), i fratelli Scotton, don Jacopo (1834-1909), don Andrea (1838-1915) e don Gottardo (1845-1916), mentre la minoranza democratica era rappresentata soprattutto da don Romolo Murri (1870-1944), il fondatore del movimento democratico cristiano in Italia, del cui insegnamento si servirono, fra gli altri, in modo diverso e senza seguirlo nel suo distacco dalla Chiesa, don Luigi Sturzo (1871-1959) e Alcide De Gasperi (1881-1954).

b. Contro il Patto Gentiloni 

In un secondo momento, a partire dalla crisi politica successiva ai tumulti scoppiati in tutto il Regno d’Italia nel maggio del 1898 in seguito al rincaro del pane, i cattolici democratici si scaglieranno contro i cosiddetti "accordi clerico-moderati", che culminano nel Patto Gentiloni (5) del 1913, accusando gli artefici di questa strategia politica di rinunciare all’identità cristiana, costringendo il movimento cattolico ad appiattirsi sul programma dei liberali moderati.

c. Contro i clerico-fascisti

Analoga divisione opporrà i cattolici democratici nel PPI, dopo la prima guerra mondiale (1914-1918), all’"ala destra" dello stesso partito, erede in parte dell’ambiente clerico-moderato, di fronte all’ipotesi di collaborare con il movimento fascista prima e con il regime dopo il 1922. Esponenti storici del movimento cattolico, come Giovanni Grosoli (1859-1937) (6) e Carlo Santucci (1849-1932), prendono la decisione di collaborare con il regime fascista e a questo fine, uscendo dal PPI, fondano un nuovo movimento, il Centro Nazionale Italiano, attraverso il quale sviluppano forme di collaborazione con il regime allo scopo di mantenere visibile una presenza pubblica dei cattolici in una fase di profonda trasformazione dello Stato.

d. Contro i Comitati Civici

Inoltre, dopo la seconda guerra mondiale (1939-1945) e la vittoria elettorale del mondo cattolico nelle elezioni del 18 aprile 1948, i cattolici democratici si scaglieranno contro la parte cattolico-liberale della DC, rappresentata soprattutto dal presidente del Consiglio De Gasperi, accusata di eccessivi cedimenti al liberismo economico, ma soprattutto inizieranno una guerra senza esclusione di colpi contro i Comitati Civici e contro l’Azione Cattolica, allora guidata da Luigi Gedda, un conflitto che non risparmia neppure il mondo ecclesiastico, provocando penose ma reali divisioni nel mondo cattolico tutto (7).

2. L’interpretazione "moralistica"

Secondo un’altra interpretazione, invece, la storia del movimento democratico cristiano va letta nell’ottica prevalente o esclusiva della "questione morale", come avviene soprattutto da parte del Partito Comunista Italiano di Enrico Berlinguer (1922-1984) negli anni 1980 e come sempre ha fatto una certa sinistra — laicista e giacobina —, preparando la mentalità popolare ad accogliere con soddisfazione e con senso di liberazione l’opera svolta dai magistrati, soprattutto di Milano, che hanno dato vita all’operazione ancora in corso denominata Mani Pulite. Questa lettura del movimento democratico cristiano non si preoccupa tanto delle sue origini quanto d’inserirne la storia nel quadro più ampio del cattolicesimo contro-riformistico, responsabile di una mentalità ormai radicata fra i cattolici, privi di senso dello Stato o addirittura animati da un particolare spirito di rivincita, e quindi incapaci di ragionare in termini di bene comune.

3. L’ipotesi della "congiura modernista"

La questione democristiana non è neppure riconducibile a un progressivo disvelamento di una congiura modernista all’interno del mondo cattolico, anche se la componente modernista è esistita e ha avuto un ruolo non secondario nella storia del fenomeno. Fra i primi, in Italia, a lanciare l’uso dell’espressione "democrazia cristiana", sono Giuseppe Toniolo (1845-1918), certamente non riconducibile non solo al modernismo ma neppure al cattolicesimo liberale, e Stanislao Medolago Albani (1851-1921) (8), che, nella polemica scoppiata all’interno dell’Opera dei Congressi negli ultimi anni del 1800, cerca di ritagliare un ruolo ai giovani democratico-cristiani, comprendendo la validità di alcune esigenze da loro avanzate e l’errore di una posizione immobilista, che non coglieva l’urgenza e la portata della "questione sociale", dopo la rivoluzione industriale e l’avanzata del movimento socialista, ed era inoltre troppo limitata alla protesta per la conquista violenta di Roma da parte dello Stato italiano, posizione tenuta dagli intransigenti come Paganuzzi.

II. Gli effetti della Questione Romana sul movimento cattolico italiano

Per impostare una storia del movimento democratico cristiano in Italia, anche solo in abbozzo, bisogna partire dalla Questione Romana (9), almeno dalla Breccia di Porta Pia, nel 1870, e quindi dalle sua conseguenze. Infatti, il problema posto dal movimento democratico cristiano riguarda l’atteggiamento che i cattolici dovrebbero tenere nei confronti del mondo moderno, nei suoi aspetti sia ideologici che istituzionali. È un problema che tocca la fede e la morale, che riguarda in modo particolare l’atteggiamento della Chiesa cattolica di fronte alla sfida delle ideologie, ma che in Italia investirà soprattutto l’aspetto della cultura politica e il comportamento che il movimento cattolico avrebbe dovuto assumere verso i partiti concorrenti, quello liberale e quello socialista, soprattutto nel 1800, a cui si dovranno aggiungere il nazionalismo e il fascismo nel periodo precedente e seguente la prima guerra mondiale.

Infatti, l’attenzione dei cattolici era a tal punto concentrata sulla Questione Romana da far passare in secondo piano tutto il resto; e non senza ragioni oggettive, se soltanto si pensa cosa può aver rappresentato per la mentalità cattolica dell’epoca l’invasione militare dello Stato pontificio da parte dell’esercito del Regno d’Italia con la conseguente caduta di tutta la penisola sotto un regime esplicitamente anticattolico. Tuttavia, un altro problema incombeva sul mondo cattolico italiano ed era quello relativo al rapporto con lo Stato moderno, sia da un punto di vista dottrinale che storico-operativo. Era il problema sollevato dai democratico-cristiani.

Polarizzati attorno alla Questione Romana, i cattolici intransigenti nel 1874 avevano dato vita all’Opera dei Congressi e dei Comitati Cattolici, con la quale avevano organizzato il paese reale, ancora a grande maggioranza cattolica, in opposizione a quello legale, governato da liberali e ideologicamente influenzato dalla massoneria. L’Opera dei Congressi, che rappresentava il movimento cattolico ufficiale, con poche resistenze nella Gerarchia e con resistenze più che altro operative, dovute all’inerzia, fra i parroci e i fedeli, riuscirà a costruire un tessuto sociale, soprattutto nell’Italia Settentrionale, in grado di permettere al popolo di rimanere radicato nella fede, ma anche nelle strutture visibili della Chiesa, in particolare attorno alla parrocchia. Questa fase caratterizzerà la storia del movimento cattolico dalla fondazione dell’Opera dei Congressi fino al Congresso Cattolico di Milano, nel 1897, che costituirà l’"apogeo dell’intransigentismo", seguito però dal declino, cominciato già nell’anno successivo, dopo i luttuosi fatti di sangue del 1898, e alle conseguenti trasformazioni nella vita politica nazionale che incideranno anche sul mondo cattolico, dividendolo fra conservatori e progressisti di fronte all’ascesa del movimento socialista e all’ipotesi che quest’ultimo potesse entrare nell’area di governo.

Tuttavia rimaneva il vuoto politico relativamente alla presenza pubblica dei cattolici, un vuoto non colmato dal
non expedit — cioè dal divieto, rivolto ufficialmente dalla Gerarchia ai fedeli nel 1874, di partecipare alle elezioni politiche —, che peraltro aveva ottenuto il risultato di coagulare le forze cattoliche nella costruzione di strutture sociali e nella pubblica protesta contro i "fatti compiuti", che avevano provocato la "prigionia" del Papa nei palazzi vaticani.

Principalmente su questo vuoto s’inserisce l’azione dei democratici cristiani.

Peraltro non era una novità. Già i cattolici transigenti, negli ultimi decenni del 1800, in particolare dopo l’elezione al soglio pontificio di Papa Leone XIII (1878-1903), con gl’incontri presso l’abitazione romana del conte Paolo Campello della Spina (1829-1917), nel 1878 (10), avevano tentato di favorire la costituzione di un partito conservatore nazionale che sancisse la fine del conflitto fra Chiesa e Monarchia e restituisse all’Italia la pace religiosa.

Nuova invece, e opposta a quella del tentativo conservatore, era l’impostazione ideologica dei democratici cristiani e del loro progetto. Cresciuti all’interno dell’Opera dei Congressi, soprattutto attorno alla figura carismatica del giovane prete marchigiano don Murri, i democratici cristiani italiani spingeranno la loro intransigenza contro lo Stato liberale fino ad arrivare a ipotizzare la collaborazione con il movimento socialista. Essi non colgono la caratteristica di processo dell’opera di scristianizzazione del popolo e, soprattutto dopo il 1898, cresce la loro critica agli accordi elettorali fra cattolici e moderati parallelamente all’insofferenza verso la gerarchia ecclesiastica e a quella dell’Opera dei Congressi. Favoriti nelle loro esigenze, ritenute corrette dal nuovo presidente dell’Opera dei Congressi, Grosoli, coadiuvato anche da Toniolo e da Medolago Albani, i democratici cristiani avrebbero potuto indossare le indicazioni del Magistero pontificio in tema di democrazia cristiana — contenute nell’enciclica
Graves de communi di Papa Leone XIII (11) e nella lettera Notre charge apostolique di Papa san Pio X (1903-1914) (12) —, che la presentavano come azione benefica a favore del popolo, purché non venisse messa in discussione l’origine divina dell’autorità attraverso la nozione di sovranità popolare. Ma così non sarà. Spinti dalla ribellione di don Murri a rifiutare esplicitamente l’autorità della Chiesa — una ribellione a cui non fu estranea l’influenza del modernismo, l’eresia condannata da Papa san Pio X soprattutto nell’enciclica Pascendi dominici gregis, del 1907 —, non sono in molti a seguirlo sulla via della rottura e vengono dispersi dalle condanne pontificie. La costituzione di una Lega Democratica, fedele alla Chiesa pur continuando a professare le idee democratiche cristiane, non ha grande successo. Ma se era stata debellata la ribellione, non scompaiono la mentalità e l’eredità di Murri, che, purificate da ogni riferimento al modernismo e alla riforma della Chiesa, verrà mantenuta e ripresa, negli aspetti politici, soprattutto da don Sturzo, il quale, proprio negli anni precedenti la prima guerra mondiale, cominciava la lunga marcia verso la costituzione di un partito aconfessionale, che si sarebbe chiamato PPI. Ostile agli accordi clerico-moderati perché accusati di spegnere l’identità cattolica, don Sturzo si proponeva di costituire un partito che non coinvolgesse direttamente la Chiesa nella competizione politica, ma si presentasse all’elettorato con un proprio programma, democratico, ispirato ai princìpi cattolici, ostile a ogni forma di conservatorismo. Tale lavoro di preparazione si concretizza nel 1919, quando nasce ufficialmente il PPI, di cui don Sturzo è il primo segretario.

In realtà, contro le speranze dello stesso don Sturzo e soprattutto in seguito agli effetti culturali e di costume provocati dalla prima guerra mondiale, si manifesta proprio in questo tempo una subalternità dei cattolici nei confronti delle altre forze ideologiche, quale mai si era vista fino ad allora.

III. La Grande Guerra e la subalternità dei cattolici

Gli effetti della Grande Guerra sono stati ampiamente studiati e molti ne hanno descritto la portata epocale, tanto che da essa si fa partire il cosiddetto "secolo breve", il secolo delle ideologie. "[...]
com’era possibile che il mondo fosse cambiato a tal punto?", chiedeva nel 1934 lo scrittore austriaco Alexander Lernet-Holenia (1897-1976), convertito al cattolicesimo nel 1923 (13), e il quesito vale anche per il rapporto fra i cattolici, in particolare quelli italiani, e il mondo a loro contemporaneo. Evidenzio nella Grande Guerra l’esplosione della subalternità culturale e politica dei cattolici italiani non perché con essa si realizzi la conciliazione con le istituzioni dopo il Risorgimento, che era nella logica delle cose, anche per la sostanziale impossibilità per le forze politiche contendenti di prescindere dall’esistenza dell’avversario. Il problema è invece il prezzo pagato affinché questo avvenisse, cioè il sostanziale riconoscimento della giustezza dell’intervento del Regno d’Italia in guerra a fianco dei paesi dell’Intesa, stravolgendo, nel giro di mesi, le alleanze precedenti per ottenere quei compensi territoriali che avrebbe potuto avere restando neutrale, e disattendendo completamente le indicazioni di Papa Benedetto XV (1914-1922) contro l’"inutile strage". Il problema non poteva essere l’amore per la patria. Chi avrebbe potuto dimostrare che l’amore alla patria comportasse il suo coinvolgimento in una guerra mondiale assolutamente ideologica, scatenata per servire solo "sacri egoismi" nazionali contrapposti, d’immensa portata distruttiva, già intuibile quando il Regno d’Italia entra nel conflitto, nel 1915, a un anno dal suo inizio? Eppure i democratici cristiani saranno a fianco dei liberali non giolittiani, dei nazionalisti, dei socialisti che seguono l’interventista Benito Mussolini (1883-1945), e della massoneria che spinge alla guerra.

"
Si doveva però rivelare posizione debole e politicamente subordinata" (14) quella dei cattolici italiani, incapaci di dare visibilità politica agli appelli per la pace lanciati dal Pontefice, subalternità resa più grave dal fatto che gl’italiani che avessero mantenuto una posizione neutrale nel conflitto non sarebbero andati incontro alle difficoltà dei cattolici belgi o francesi, la cui terra era invasa da eserciti stranieri, o dei cattolici austriaci, il cui governo chiedeva legittimamente alla Serbia di cooperare per stroncare le forze nazionaliste responsabili, almeno moralmente, dell’assassinio dell’arciduca ereditario Francesco Ferdinando d’Asburgo (1863-1914) a Sarajevo, causa prossima del conflitto.

IV. Il periodo fascista

La subalternità dei cattolici italiani appare in tutta la sua evidenza dopo la guerra. Nonostante i successi elettorali del PPI, il mondo cattolico non sa o non può imporre i propri temi all’ordine del giorno del dibattito politico nazionale, anche e soprattutto perché aveva rinunciato alle proprie idee-forza, come la Questione Romana e il neutralismo. Inoltre, i cattolici non sanno cogliere la pericolosità dell’incremento socialista e sono sostituiti dai fascisti nella lotta contro il pericolo rosso che, soprattutto dopo la Rivoluzione d’Ottobre, non era sottovalutabile.

Il risultato non è soltanto la subalternità culturale e politica, ma anche la divisione, così che si arriva alla spaccatura del PPI fra filofascisti — l’Unione Nazionale di Carlo Ottavio Cornaggia Medici (1851-1935) e poi il Centro Nazionale Italiano di Grosoli e di Santucci — e antifascisti, come lo stesso don Sturzo.

Subalterni e divisi, i cattolici italiani cadono nel lungo sonno durato i vent’anni del regime fascista. Un mondo cattolico, appagato dalla Conciliazione del 1929, si adagia sui privilegi concessi dallo Stato alla presenza pubblica della Chiesa in Italia; questo atteggiamento viene interrotto soltanto dallo scontro fra Chiesa italiana e regime fascista avvenuto, nel 1931, sul ruolo dell’Azione Cattolica e sul problema dell’educazione giovanile, da entrambe le realtà ritenuta decisiva per il futuro delle rispettive presenze nella società. L’unico vero e proprio limite posto alla Chiesa dallo Stato era quello di lasciare libero lo spazio politico, che doveva essere riservato al partito fascista. Ciò comportava l’abbandono dei democratici cristiani del PPI e costa l’esilio a don Sturzo.

Iniziata, o comunque esplosa dopo la prima guerra mondiale, la subalternità dei cattolici italiani nei confronti del regime fascista cresce dopo il 1922, quando la politica della Santa Sede mirava a una trasformazione del regime dall’interno e all’obiettivo di realizzare il Concordato nel più breve tempo possibile. Quando verrà siglata la Conciliazione, nel 1929, sembra realizzarsi il sogno sia dei cattolici intransigenti che dei conciliatoristi, perché la Chiesa riottiene la libertà perduta con la Breccia di Porta Pia e la Monarchia cessa di apparire come la causa della prigionia del Papa. Così, con la Conciliazione, si chiude definitivamente l’esperienza del movimento intransigente — peraltro già esauritasi da un punto di vista organizzativo —, ma anche il Centro Nazionale dei cattolici usciti dal PPI per appoggiare il fascismo cessa ogni attività organizzata dopo il 1929. Lo stesso accadrà ai cattolici cosiddetti integrali, riuniti attorno alla rivista
Fede e ragione, che chiude nello stesso anno. Più attenti degli altri all’importanza della battaglia culturale, e quindi meno disponibili ad accettare posizioni subalterne nei confronti delle ideologie dominanti, questi cattolici non trovano spazio all’interno del regime e lasciano soltanto un’eco di antiche battaglie, con qualche ritorno di visibilità in occasione della guerra civile spagnola nel 1936, ma senza tornare a esprimere alcuna realtà organizzata.

Profondamente ridimensionati, in esilio o in patria, ma inoperosi, i democratici cristiani sono costretti ad aspettare tempi migliori. Questi verranno quando, durante e dopo il conflitto, il movimento cattolico italiano si troverà di fronte alla grande opportunità di provare quella riconciliazione fra la Chiesa e il popolo italiano ricercata ormai da diversi decenni.

V. Dopo la seconda guerra mondiale

Durante il periodo fascista, il movimento cattolico aveva potuto operare alla luce del sole, particolarmente attraverso le parrocchie e le strutture dell’Azione Cattolica, e la sua ramificazione sul territorio era rimasta l’unica alternativa non clandestina a quella del Partito Nazionale Fascista. Alla caduta del regime, il mondo cattolico si trova a essere già presente e operante in mezzo alla popolazione, alleviandone le sofferenze morali e anche materiali e soprattutto cercando di spegnere l’odio che cresceva nella vita del popolo in seguito alla guerra civile. Contemporaneamente si costituiva anche il partito della DC, attorno agli ex popolari guidati da De Gasperi e dal gruppo milanese raccolto da Pietro Malvestiti (1899-1964) sulla scia dell’esperienza del cosiddetto Movimento Guelfo, nato nella clandestinità durante il regime. Ben presto confluiscono nella DC le componenti della sinistra, fra cui il gruppo facente capo a Domenico Ravaioli (1896-1979), quello di Giovanni Gronchi (1887-1978) e dei sindacalisti bianchi, e quello compattatosi intorno a Giuseppe Dossetti (1913-1996) (15), con Amintore Fanfani (1908-1999), Giuseppe Lazzati (1909-1986) e Giorgio La Pira (1904-1977).

La grande stima di cui godeva la Chiesa presso la popolazione, dovuta principalmente all’opera del clero secolare e regolare, in particolare dei parroci, la costituivano punto di riferimento nazionale, anche complice il crollo delle istituzioni dopo l’8 settembre 1943. A essa si opponeva soltanto il PCI, con un consistente seguito popolare, riorganizzatosi rapidamente e cresciuto d’importanza politica soprattutto grazie alla Resistenza e alla guerra civile. Ma proprio il PCI, il "partito nuovo" voluto da Palmiro Togliatti (1893-1964) dopo il suo rientro da Mosca nel 1944, era talmente conscio del profondo legame che univa la popolazione italiana alla Chiesa cattolica, da trasformarsi in modo da rendersi capace di operare per mutare il senso comune della gente senza impegnarsi in una contrapposizione religiosa, che sarebbe stata solo dannosa per i comunisti.

Nonostante le condizioni favorevoli, la riconciliazione fra la nazione e la Chiesa non si va estendendo ma, al contrario, va progressivamente crescendo una frattura culturale che porta alla scristianizzazione.

Non descrivo tutti i passaggi significativi di questa autentica Rivoluzione culturale, che porta la nazione italiana ad allontanarsi dalle sue radici e dalla sua vocazione attraverso il laicismo, denunciato dai vescovi nel 1960, la contestazione del Sessantotto con la sua deriva terroristica e nichilistica, l’ascesa del PCI nell’area di governo negli anni dal 1976 al 1979, fino al governo guidato dall’on. Massimo D’Alema e composto da comunisti, post-comunisti e post-democristiani. Mi limito a indicare alcuni episodi caratterizzanti tale processo. Sono episodi che indicano come la subalternità, che prende il sopravvento nel mondo cattolico nel secondo dopoguerra, non rifletta più, come per esempio negli anni precedenti la Grande Guerra e anche di fronte al fascismo, la difficoltà e l’incertezza di una scelta fra diverse possibilità, ma sia una subalternità a senso unico, ideologica, tributaria di una concezione della storia come continuo e inevitabile progresso verso l’utopia. Si tratta quindi una subalternità culturale verso qualsiasi prospettiva di sinistra, sia quella "forte" del progetto marxista, che quella "debole" del relativismo nichilista. Episodi che sottolineano l’autentica drammaticità dei due discorsi pronunciati da Papa Paolo VI (1963-1978), nel 1968 e nel 1972, a proposito di "
autodemolizione" della Chiesa e di "fumo di Satana" penetrato nel sacro recinto della Chiesa stessa negli anni successivi al Concilio Vaticano II (1962-1965).

a. Il "referendum" contro il divorzio

Il primo episodio riguarda l’
Appello dei cattolici democratici per il no nel referendum contro il divorzio, lanciato il 17 febbraio 1974. A esso aderiscono intellettuali come Scoppola, Francesco Traniello, Ettore Passerin d’Entrèves e di Courmayeur (1914-1990), Luigi Pedrazzi, Paolo Brezzi (1910-1998) e Giuseppe Alberigo, alcuni dei quali tuttora sulla breccia e pluri-invitati anche in assise ufficiali del mondo cattolico, oltre a giornalisti come Guglielmo Zucconi, Sandro Magister, Giancarlo Zizola e Ruggero Orfei. Così come va ricordata l’impossibilità, da parte di uno dei promotori del referendum, il professor Sergio Cotta, di tenere una manifestazione contro il divorzio nella sede milanese dell’Università Cattolica del Sacro Cuore, tappezzata di manifesti a favore del divorzio, anche su pressione dell’allora rettore Lazzati, notoriamente contrario al referendum stesso. Questo dimostra come la subalternità in questione non debba essere tanto imputata alla DC in quanto partito — o, almeno, non soprattutto a essa —, ma al progetto dei cattolici democratici.

b. La legalizzazione dell’aborto

Il secondo episodio riguarda l’introduzione della legge 194, il 22 maggio 1978, che legalizza l’aborto. Voglio ricordare le amare, ma vere, parole contenute nel diario di Lucia Barocchi, del Movimento per la Vita di Firenze, presente nella tribuna del Senato durante l’ultima seduta: "Per la prima volta nel mondo un Governo formato esclusivamente di uomini di ispirazione cristiana non ha fatto nulla, se non peggio che nulla, per impedire l’approvazione di una legge che impegna lo Stato a sopprimere chi non ha voce per difendersi.

"
Sull’atto di promulgazione della legge non figurerà il nome di alcun abortista: cattolico il presidente della Repubblica, cattolico il presidente del Consiglio, cattolici i ministri della Giustizia e Sanità, cattolici tutti gli altri ministri e sottosegretari nessuno dei quali ha ritenuto di dissociarsi pubblicamente dall’operato del Governo" (16). Ricordo nominatim questi ministri, oltre al presidente della Repubblica Giovanni Leone, pochi giorni dopo costretto alle dimissioni per motivi d’altra natura; sono Giulio Andreotti, Tina Anselmi, Francesco Paolo Bonifacio (1923-1989), Tommaso Morlino (1925-1983) e Filippo Maria Pandolfi, tutti democristiani. Vale la pena di ricordare anche i nomi dei senatori di area cattolica, che votarono addirittura a favore della legge per non rompere la solidarietà con i partiti nei quali erano stati eletti: Brezzi, Mario Gozzini, Antonio Guarino, Raniero La Valle e Livio Labor (1918-1999).

È il 1981, forse, l’anno in cui si raggiunge il massimo di subalternità del mondo cattolico italiano: eppure non tutti sembrano essersene accorti, come lo storico e parlamentare democristiano Gabriele De Rosa, che nel suo Diario politico 1968-1989 non dedica una riga né all’introduzione della legge sull’aborto né al referendum abrogativo del 1981 (17). Eppure, com’è scritto in un editoriale de La Civiltà Cattolica che ricorda l’omicidio di Aldo Moro (1916-1978), commesso pochi giorni prima dell’approvazione della legge, "
ciò che avviene in questi giorni al Senato è più grave, sotto il profilo generale e per quanto riguarda il futuro immediato ma anche lontano del nostro Paese, di quanto avvenne il 16 marzo in via Fani" (18).

Se, in un sussulto di dignità e di responsabilità, i ministri e il presidente della Repubblica non avessero firmato la legge 194, forse la DC avrebbe perduto la titolarità del governo, ma certamente avrebbe dato un segnale al popolo e ai cattolici, con possibili grandi conseguenze. E certamente sarebbe stato un segnale di rifiuto di subalternità, tanto più significativo quanto più pubblicamente rilevante.

VI. Verso la "nuova evangelizzazione"

Dopo il 1981 molte cose sono cambiate in Italia e nel mondo. Un anno, il 1989, verrà ricordato come discriminante fra due epoche. La caduta del Muro di Berlino non riguarda però soltanto i regimi comunisti che implodono, ma produce come conseguenza, in Italia, la trasformazione del PCI in Partito Democratico della Sinistra e poi nei Democratici di Sinistra, e la fine della DC (19), spaccatasi in diversi partiti, confluiti nei due Poli che si contrappongono alle elezioni dal 1994.

Se finisce il partito della DC, non poteva cessare automaticamente la subalternità culturale che l’aveva generato e contraddistinto. Nessuno può immaginare d’invertire una rotta culturale nel corso di pochi anni, ma molti segnali inducono alla speranza, anche a quella umana, a cominciare dal discorso di Loreto di Papa Giovanni Paolo II, nel 1985 (20), per arrivare all’Assemblea della Scuola Cattolica conclusasi sabato 30 ottobre 1999 in piazza San Pietro con il discorso del Papa ai duecentomila presenti, che chiedevano la parità giuridica ed economica nella scuola italiana, per ottenere quell’elementare principio di giustizia mai raggiunto in cinquant’anni di governi democristiani. La "nuova evangelizzazione" sta cominciando a investire anche l’ambito della cultura e, in particolare, della cultura politica del mondo cattolico italiano.

Marco Invernizzi

* Testo, rielaborato e annotato, della relazione con lo stesso titolo presentata al convegno
Dalla "cristianità perduta" alla "nuova evangelizzazione". Origini e problemi della presenza dei cattolici nella storia politica italiana, promosso da Cristianità e da Alleanza Cattolica, in collaborazione con la Regione Lombardia. Settore Trasparenza e Cultura, e svoltosi a Milano il 6-11-1999 (cfr. Giuseppe Bonvegna, Dalla "cristianità perduta" alla "nuova evangelizzazione". Origini e problemi della presenza dei cattolici nella storia politica italiana, in Cristianità, anno XXVII, n. 295-296, novembre-dicembre 1999, pp. 14-17).

***

(1) Ciriaco De Mita,
"No alla conta o il PPI sparirà", intervista a cura di Felice Saulino, in Corriere della Sera, 23-8-1999.

(2) Pietro Scoppola,
"Il futuro è di Wojtyla e Berlinguer", intervista a cura di Fausto De Luca, in la Repubblica, 10-7-1979; cfr. anche il mio Appunti sulla storia e sul "progetto" dei "cattolici democratici", in Cristianità, anno XVI, n. 156-157, aprile-maggio 1988, pp. 5-9.

(3) Cfr. tale lettura della presenza pubblica dei cattolici in Italia nelle opere più diffuse sulla storia del movimento cattolico, scritte da autori di area cattolico-democratica: la più importante e conosciuta — anche per la qualificazione dei membri del Comitato scientifico e per i coordinatori regionali, che ne fanno un’opera collettiva a tutti gli effetti — è il
Dizionario storico del movimento cattolico in Italia 1860-1980, diretto da Francesco Traniello e Giorgio Campanini, 5 voll., Marietti, Casale Monferrato (Alessandria) 1981-1984, volumi ai quali si è aggiunto, diretto dagli stessi autori, un Dizionario storico del movimento cattolico. Aggiornamento 1980-1995, Marietti 1820, Genova 1997. L’autore che ha maggiormente influenzato la storiografia di area cattolica è Gabriele De Rosa, di cui cfr., fra le altre opere, Il movimento cattolico in Italia. Dalla Restaurazione all’età giolittiana, Laterza, Bari 1988; e Il Partito popolare italiano, Laterza, Bari 1974.

(4) Cfr. un’interpretazione della "questione democristiana", alla quale mi sono sostanzialmente ispirato, in Giovanni Cantoni,
La "questione democristiana", in Idem, La "lezione italiana". Premesse, manovre e riflessi della politica di "compromesso storico" sulla soglia dell’Italia rossa. In appendice l’Atto di consacrazione dell’Italia al Cuore Immacolato di Maria, Cristianità, Piacenza 1980, pp. 41-54. Cfr. una storia del movimento cattolico, nel mio Il movimento cattolico in Italia dalla fondazione dell’Opera dei Congressi all’inizio della seconda guerra mondiale (1874-1939), 2a ed. riveduta, Mimep-Docete, Pessano (Milano) 1995.

(5) Sul Patto Gentiloni, cfr. il mio
L’Unione Elettorale Cattolica Italiana. 1906-1919. Un modello di impegno politico unitario dei cattolici. Con un’appendice documentaria, Cristianità, Piacenza 1993.

(6) Cfr. la mia voce
Grosoli, in Dizionario del Pensiero Forte, a cura dell’IDIS. Istituto per la Dottrina e l’Informazione Sociale, in Secolo d’Italia, 15-10-1999.

(7) Cfr. i miei "
18 aprile 1948. Memorie inedite dell’artefice della sconfitta del Fronte Popolare", in Cristianità, anno XXVI, n. 281, settembre 1998, pp. 13-16; e Democrazia Cristiana e mondo cattolico nell’epoca del centrismo (1947-1953), ibid., n. 277, maggio 1998, pp. 19-23.

(8) Cfr. la mia voce
Stanislao Medolago Albani, in IDIS. Istituto per la Dottrina e l’Informazione Sociale, Voci per un "Dizionario del Pensiero Forte", a cura di Giovanni Cantoni, con una presentazione di Gennaro Malgieri, Cristianità, Piacenza 1997, pp. 161-166.

(9) Cfr. Renato Cirelli,
La Questione Romana. Il compimento dell’unificazione che ha diviso l’Italia, Mimep-Docete, Pessano (Milano) 1997.

(10) Cfr. Giuseppe Ignesti,
il tentativo conciliatorista del 1878-1879. Le riunioni romane di Casa Campello, Editrice A.V.E., Roma 1988.

(11) Cfr. Leone XIII, Enciclica
Graves de communi sulla democrazia cristiana, del 18-1-1901, in Tutte le encicliche e i principali documenti pontifici emanati dal 1740. 250 anni di storia visti dalla Santa Sede, a cura di Ugo Bellocchi, vol. VI, Leone XIII (1878-1903), parte seconda: 1892-1903, Libreria Editrice Vaticana, Città del Vaticano 1997, pp. 416-425.

(12) Cfr. San Pio X,
La concezione secolarizzata della democrazia. Lettera agli Arcivescovi e ai Vescovi francesi "Notre charge apostolique", del 25-8-1910, trad. it., Cristianità, Piacenza 1993.

(13) Alexander Lernet-Holenia,
Lo stendardo, trad. it., Adelphi, Milano 1989, p. 109, cit. in Antonio Gibelli, L’officina della guerra. La Grande Guerra e le trasformazioni del mondo mentale, Bollati Boringhieri, Torino 1991, p. 13. Cfr. un quadro della prima guerra mondiale e l’Italia, in Piero Melograni, Storia politica della grande guerra 1915-1918, Mondadori, Milano 1998.

(14) Guido Formigoni,
L’Italia dei cattolici. Fede e nazione dal Risorgimento alla Repubblica, il Mulino, Bologna 1998, p. 78.

(15) Cfr. il mio
Nota su Giuseppe Dossetti e sul dossettismo, in Cristianità, anno XXV, n. 263, marzo 1997, pp. 3-6.

(16) Lucia Barocchi,
Aborto/Per memoria nostra, vostra, dei figli dei figli, in Studi Cattolici, anno XXII, n. 209, luglio 1978, pp. 479-482 (p. 479); cfr. anche un bilancio ricco d’informazioni, in Alfredo Mantovano, Dieci anni d’aborto in Italia, in Cristianità, anno XVI, n. 161, settembre 1988, pp. 5-10; e Idem, La Democrazia Cristiana e l’aborto: perché fu "vero tradimento", ibid., anno XXII, n. 232-233, agosto-settembre 1994, pp. 13-15.

(17) Cfr. Gabriele De Rosa,
La storia che non passa. Diario politico 1968-1989, a cura di Sara Demofonti, Rubbettino, Soveria Mannelli (Catanzaro) 1999.

(18)
I cristiani di fronte alla legalizzazione dell’aborto, in La Civiltà Cattolica, anno 129, n. 3070, 20-5-1978, pp. 313-322 (p. 313).

(19) Cfr. G. Cantoni,
"Requiem" per un suicidio: la fine del "popolarismo", in Cristianità, anno XXIII, n. 240, aprile 1995, pp. 3-4.

(20) Cfr. Giovanni Paolo II,
Per iscrivere la verità cristiana sull’uomo nella realtà della nazione italiana. Loreto, 11 aprile 1985, Cristianità, Piacenza 1985, 3a ed.
 

 

Intervista a Eugenio Corti


Intervista a Eugenio Corti


 di Roberto Persico

«Andai sul fronte russo per vedere se davvero i comunisti erano più cristiani di noi, come diceva il maritainiano Mounier. Scoprii che il regime aveva fatto cose terrificanti. E decisi che dovevo raccontare quel che avevo visto».

[Da «Tempi» num.16 del 19/04/2007]

«Ha fatto proprio bene a pubblicare quel pezzo su Cochin, quel che descrive lo studioso francese è esattamente quel che è successo a me: se uno non fa parte del coro della cultura dominante viene messo al bando». Eugenio Corti, 86 primavere portate benissimo - fino a un paio d’anni fa prendeva l’aereo da solo per andare dai suoi numerosi supporter parigini, ora si aiuta con un bastone per camminare, ma la mente è lucidissima - si è preparato a dovere per ricevere l’inviato di Tempi nell’antica villa di famiglia sui colli della Brianza, un pezzetto di parco da cui lo sguardo spazia dalle prealpi fino laggiù a Milano. L’occasione è la pubblicazione da parte di Ares della ventunesima edizione del suo opus magnum,
Il cavallo rosso, un risultato straordinario per un romanzo che non ha mai avuto altro sostegno che quello del proprio valore e del passaparola dei tanti che lo hanno apprezzato. Ma la conversazione spazia, inevitabilmente, su tutta la storia di uno dei grandi testimoni del secolo passato. E comincia dallo stupore del cronista per la quantità di lettere che riceve, per le tante persone che ancora lo cercano, dall’Italia e non solo. «Sì, sono in tanti i giovani che vengono regolarmente a trovarmi, a parlare di tante cose».

Che cosa trovano dunque in lei?

Credo che interessi loro sentire un testimone del secolo passato. Uno che dopo avere attraversato tutti gli orrori e le bestialità del secolo non ha perso la fede ma l’ha incrementata.

Tante persone di fronte agli orrori del Novecento hanno abbandonato Dio, lei no. Come è stato possibile?

Non è stato un merito, è stato un regalo di Domeneddio. Un regalo di cui però fa parte la solida preparazione cristiana anche culturale che ho ricevuto fin da giovane: sapevo bene che Dio ha detto ben chiaro che i disastri sono le conseguenze che l’umanità si tira addosso quando abbandona la sua strada. Non è Dio che ha abbandonato l’uomo, è l’uomo che ha abbandonato Dio e le conseguenze sono stati gli orrori del secolo passato.

Orrori che lei ha incontrato consapevolmente dal momento che, allo scoppio della Seconda guerra mondiale, ha chiesto espressamente di essere inviato sul fronte russo. Perché questa scelta? 

Sì, è vero. Io studiavo allora legge all’università Cattolica a Milano. Nella biblioteca dell’università mi imbattei in un fascicolo di Esprit, la rivista diretta da Emmanuel Mounier. Io non lo conoscevo, ma sapevo che era amico e allievo di Jacques Maritain, e Maritain era allora l’avanguardia della cultura cattolica mondiale, così volli leggerlo. C’era scritto che non era vero che il comunismo russo era la peste, che a dipingerlo così erano i fascisti e le "demoplutocrazie", ma i comunisti in realtà erano più cristiani di noi. Se lo dice questo qui che è allievo di Maritain, mi dissi, bisogna andare a vedere. Così allo scoppio della guerra, mentre tutti cercavano di imboscarsi, io chiesi di essere mandato sul fronte russo. Fu l’esperienza definitiva della mia vita.

Che cosa scoprì?

Parlai tantissimo con i russi, per quel che permetteva la lingua, e scoprii qualcosa di terrificante: non c’era una famiglia che non avesse almeno un membro ucciso dal regime o deportato in Siberia. Raccolsi i racconti degli anni terribili della carestia in Ucraina e del cannibalismo che ne seguì. Quella vicenda mi fece toccare con mano la verità di quel che aveva scritto sant’Agostino millecinquecento anni prima: o si costruisce la città di Dio, o inevitabilmente si costruisce la città del Principe di questo mondo. E decisi che dovevo raccontare quel che avevo visto. Nacquero così i miei primi libri, sostanzialmente autobiografici,
I più non ritornano, I soldati del re, e naturalmente Il cavallo rosso. 

Si può dire che la sua vocazione di scrittore nacque allora? 

No. Era nata prima. Era nata sui banchi della prima ginnasio, quando avevo scoperto Omero: "Farò come questo", mi dissi allora. Perché Omero trasforma in bellezza tutto ciò di cui parla. E da allora non ho mai lasciato questa impostazione.

Poi però non si è più limitato a raccontare la sua esperienza.

No. Poi ho sempre cercato di approfondire attraverso i miei romanzi le questioni che mi sembravano più urgenti. Studiai a lungo, naturalmente, il comunismo, e da quel lavoro è nato
Processo e morte di Stalin, dedicato alla natura criminale di quel sistema. Poi ci sono state la decolonizzazione e la globalizzazione, si è incominciato a vedere gli europei come colpevoli di tutti i mali del mondo, gli altri popoli hanno cominciato a chiederci conto di quel che avevamo fatto loro; così ho scritto La terra dell’indio, sulla stupefacente avventura dei gesuiti in Paraguay, che con le "reducciones" hanno portato in pochi anni un popolo intero dalla preistoria a una civiltà prospera e raffinata. Poi si è diffuso il mito dei mari del sud, dei paradisi incontaminati, del buon selvaggio che vive felice, libero dalle regole della civiltà occidentale; così ho scritto L’isola del paradiso, la storia vera degli ammutinati del Bounty, un gruppo di uomini che hanno cercato di costruire una civiltà nuova, "naturale", e hanno finito per scannarsi tutti uno a uno. Infine, pensando alla questione delle radici cristiane, dell’impotenza balbuziente dell’Europa a rivivere la sua cultura, ho scritto Catone l’antico, la storia di quest’uomo in cui la fierezza romana si apre all’attesa di una speranza nuova.

E oggi a cosa sta lavorando?

Quando ho compiuto 85 anni mi sono detto: "Hai parlato di tutto tranne del periodo storico che ti piace di più, il medioevo", così ho cominciato a scrivere la storia della beata Angiolina, una lontana antenata di mia moglie. Spero che Dio mi dia la forza di finirlo prima di morire.

Un libro sul medioevo che non sia Il nome della rosa sarebbe un evento nelle nostre scuole.

Quella è stata un’enorme canagliata. Umberto Eco ha preso in mano un interesse vero e lo ha rovesciato. E pensare che è lo scrittore italiano più venduto nel mondo...

Non è vero, sa? Lo scrittore italiano più venduto nel mondo è Guareschi.

Davvero? Sono proprio contento. L’ho conosciuto, Guareschi: naja io, naja lui, credente come può essere un soldato, rustego. Combatteva per il cristianesimo in modo laico, e militaresco.

Torniamo a Maritain e Mounier. Come li ha guardati dopo l’esperienza russa?

Li ho combattuti con tutte le mie forze, perché ho capito quale era il loro errore. Maritain in origine era un socialista rivoluzionario ateo; poi Dio gli ha toccato il cuore, ma lui è rimasto accecato dal fatto che nel bagaglio culturale dei marxisti e dei laicisti - che erano suoi amici - c’erano molte verità cristiane impazzite, come direbbe Chesterton. Maritain si definì un minatore che cercava valori e virtù cristiani nascosti nel mondo laico, e finì per convincersi che costoro - che lui era ansioso di conquistare alla sua nuova fede - fossero in sostanza già cristiani, e che si potesse costruire una "nuova cristianità" con marxisti e laici.

E in cosa consiste l’errore?

Nel fatto che una verità, un valore o una virtù cristiani, messi nel bagaglio degli altri, li rendono ancora più avversi al cristianesimo. Le faccio un esempio, preso dal libro di Rudolf Höss, Comandante ad Auschwitz: non era facile, spiega Höss, mantenere gli altissimi ritmi previsti per lo sterminio degli ebrei; fu possibile farlo solo grazie al grande "spirito di abnegazione" delle SS addette ai crematori, che rinunciarono alle licenze e si sobbarcarono turni pesantissimi. Capisce la follia? Lo spirito di abnegazione è certamente un valore cristiano, ma al servizio di una causa sbagliata la rende solo più micidiale.

Maritain alla fine si accorse dell’errore.

Sì, e ne
Il contadino della Garonna arrivò a dire che i cristiani erano stati stupidi a credere a quello che lui aveva detto. Intanto però il danno era fatto, aveva gettato il seme della peste del cattocomunismo: di lì sarebbero fioriti i vari Dossetti, Lazzati, Fanfani, La Pira.

Personaggi che lei ha avversato duramente. 

La mia
querelle con Lazzati risale al tempo del referendum sul divorzio. Gabrio Lombardi, che era stato capitano durante la guerra, era stato incaricato di dar vita al Comitato per il sì e mi chiese di fare il vice presidente. Io obbedii, lasciando anche la stesura del Cavallo rosso, e mi ritrovai di fatto a fare tutto. E il mio avversario più accanito divenne proprio Giuseppe Lazzati, che pure era stato mio amico. Ma difendeva una concezione che avrebbe disciolto il cristianesimo, e continuai ad attaccarlo duramente. Non ci siamo più parlati. I suoi discepoli, che alla Cattolica sono ancora forti, specie nella facoltà di Lettere, non me lo hanno mai perdonato. Poi ebbi anche una polemica con Avvenire, che accusai di avere abbandonato la battaglia contro il comunismo, cosa che in quegli anni era davvero accaduta. Così per il mondo cattolico italiano sono rimasto uno scomunicato.

Nessuno è profeta in patria.

Forse è vero. Infatti ho trovato molto più sostegno in Francia. Paradossalmente, proprio a partire dalla mia battaglia contro Maritain: in Francia c’è un piccolo gregge di cattolici, più emarginati dei cattolici italiani dalla vita pubblica, che cercano di mantenersi fedeli alla tradizione, e hanno trovato nei miei scritti un punto di riferimento. Così finché ce l’ho fatta sono andato regolarmente a trovarli.
E comunque non ha mai rinunciato al suo lavoro di scrittore.

Io sono stato chiamato dalla Provvidenza a scrivere. Io non ho avuto la vocazione alla carità, come mio fratello che è frate in Ciad, o come l’altro che ha fondato un ospedale in Uganda. Però nel Vangelo la verità è fondamentale come la carità. Io ho avuto la vocazione alla verità: posso lavorare per aiutare gli uomini a non staccarsi mai dalla verità. Guardi, me l’ha scritto anche don Giussani quando ho compiuto 80 anni: «Chiedo alla Madonna di conservare la sua vita nella baldanza che la caratterizza, fiero difensore della verità che nella fede ragionevolmente tramandata e da lei personalmente rivissuta e resa attuale trova la sua apologia più affascinante, specialmente in questi tempi drammatici». Per questo vado avanti.

© Editoriale Tempi Duri Soc. Coop.

 

 

Tommaso Hobbes e la morale universale


Tommaso Hobbes e la morale universale

           

Il  padre del giusnaturalismo Thomas Hobbes e delle costituzioni libertarie degli stati moderni sosteneva che : “il disordine della vita sociale , dalla sedizione al tirannicidio,dal sorgere delle fazioni alla guerra civile, dipendesse dalle dottrine erronee, di cui erano stati autori gli scrittori di cose politiche antichi e moderni,e dallo spirito di setta alimentato da cattivi teologi ,e mettendo a confronto la concordia che regnava nel campo delle discipline matematiche con il regno della discordia senza tregua dove si agitavano le opinioni dei teologi , dei giuristi e degli scrittori politici, sostiene che i maggiori malanni di cui soffre l’umanita sarebbero eliminati “SE SI CONOSCESSERO CON EGUAL CERTEZZA LE REGOLE DELLE AZIONI UMANE COME SI CONOSCONO QUELLE DELLE GRANDEZZE DELLE FIGURE .”

 

“”Quelle che chiamiamo leggi di natura –precisa-dopo averle enumerate –non sono altro che una specie di conclusione tratta dalla ragione in merito a quel che si deve fare o tralasciare .””””

E nel Leviathan precisa :”Se è vero che la geometria è la sola scienza che sinora sia piaciuta a Dio di regalare al genere umano “ l’unica scienza “le cui conclusioni sono ormai diventate indiscutibili” , al filosofo morale incombe d’imitarla “.

Ecco che il padre del giusnaturalismo non si preoccupa piu di interpretare regole gia date di sentenze del Diritto Romano ma quello piu innovativo e ben piu nobile di scoprire le regole universali della condotta attraverso lo studio della natura dell’uomo “.  Per il giusnaturalista , la fonte del diritto non è più il Corpus Juris, ma la “natura delle cose”, che ci da i principi generali della vita ,come se il Corpus Juris avesse dimenticato le regole della natura umana e ce ne fosse un’altra che a lui toccava scoprire, cioè la legge naturale ,ma , appunto un'altra legge naturale  a suo uso e consumo , non quella già contenuta, universale , nei codici di diritto.

Ma, concludendo ,il nostro  dove trae questa legge naturale universale ?

Siccome aveva dimenticato i dieci comandamenti e che esisteva una legge morale già certa e rivelata sul Sinai ,si rivolse agli istinti umani negli uomini e negli animali . Il debole che soccombe al più forte e un capobastone a cui è delegata ogni liberta per imporre la legge e impedire che l’istinto ferino dei sudditi li portasse a scannarsi tra loro .Quindi egli deduce queste leggi universali dalla legge della giungla, cioe non dalla vera natura umana , ma dagli istinti ferini dell’uomo .

Percio’ con Hobbes soprattutto , la scienza moderna va alla cieca in ricerca dei principi base della natura umana e a seconda da che cosa li deduce , stabilisce le regole morali e del diritto secondo il prprio vedere .   Ora tutto sta nello stabilire se queste norme esistono davvero e le conosciamo con certezza , oppure dobbiamo rivolgerci ai cani e ai gatti o agli eschimesi che si scambiano le moglie , per capire quali sono le regole certe dell’agire umano . Se non ci fosse il popolo ebreo a ricordarci che c’è una legge certa nel creato rivelata e universale , non avremmo alcuna prova di regole certe . Con la circoncisione l’ebreo si impegnave  a osservare quella legge mediante un patto . Tanto è vero che Cristo dice al giovane ricco di iniziare dai comandamenti per “agire bene”. La salvezza è un’ altra cosa e non va confuse con le regole di vita che hano alla base  la legge universale valida sia per i pagani e sia per gli ebrei , direbbe san paolo nella lettera ai romani .

 

NOI ABBIAMO FIDUCIA NELLA SCIENZA, LORO SI SONO SOLO RIEMPITI LA BOCCA Proprio perché abbiamo creduto alle parole del Creatore : “ Dio ...